Il caso si chiude, ma l’occasione per dare un esempio sfuma
La vicenda si chiude con una sanzione economica, ma il nodo centrale resta irrisolto. Per quanto accaduto durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan, Massimiliano Allegri dovrà pagare una multa di 10.000 euro. Una decisione che certifica il comportamento scorretto, ma che lascia la sensazione di un intervento ridotto al minimo, soprattutto considerando il ruolo e la visibilità dei protagonisti coinvolti.
I fatti si collocano nel corso della semifinale disputata in Arabia Saudita, vinta dal Napoli per 2-0, sotto gli occhi di addetti ai lavori e telecamere. In quel contesto, secondo quanto accertato, l’allenatore del Milan ha rivolto offese ripetute a Gabriele Oriali, dirigente del club azzurro e collaboratore di Antonio Conte.
L’episodio è stato segnalato dal Napoli agli organi competenti, dando avvio alle verifiche della Procura federale. Dagli accertamenti è emersa una condotta ritenuta non conforme ai regolamenti, come riportato nel provvedimento del Giudice sportivo di Serie A, Gerardo Mastrandrea. Nel dispositivo si legge infatti che Allegri ha «assunto un atteggiamento provocatorio nei confronti di un dirigente della squadra avversaria, al quale rivolgeva ripetutamente anche espressioni offensive».
Sulla base di questa ricostruzione è arrivata la decisione finale: una multa da 10.000 euro, senza ulteriori conseguenze disciplinari. Una scelta che, pur riconoscendo la gravità del comportamento, appare contenuta se rapportata al contesto e alla frequenza con cui situazioni analoghe continuano a verificarsi nel mondo del calcio.
I limiti da non superare
È proprio questo l’aspetto che merita una riflessione più ampia. Figure centrali dello sport professionistico, per ruolo e esposizione mediatica, non rappresentano solo una squadra o una società, ma diventano inevitabilmente modelli di riferimento. Il loro comportamento in campo e a bordo campo contribuisce a definire il tono dell’intero movimento, nel bene e nel male. Episodi di questo tipo finiscono invece per trasmettere messaggi sbagliati, normalizzando atteggiamenti che dovrebbero essere arginati.
In quest’ottica, ci si sarebbe potuti aspettare un provvedimento più incisivo, capace di andare oltre la dimensione economica e di ribadire con maggiore chiarezza quali siano i limiti da non superare. Il rischio, al contrario, è che una semplice ammenda venga percepita come un passaggio quasi automatico, privo di reale forza educativa e deterrente.
In un calcio in cui tensioni e scontri verbali a bordocampo sembrano ripetersi con sempre maggiore regolarità, il valore simbolico delle decisioni disciplinari diventa fondamentale. E la sensazione, ancora una volta, è che l’occasione per lanciare un segnale forte e coerente con il ruolo educativo dello sport sia stata persa.




