Spari in piazza Carolina, l’ipotesi: agguato fallito di una baby gang

Poco credibile la pista della stesa

Chi indaga non esclude nulla. È questo il punto di partenza dell’inchiesta aperta dopo gli spari esplosi nella notte tra l’11 e il 12 dicembre in piazza Carolina, a pochi passi dalla Prefettura e alle spalle di piazza del Plebiscito. Un episodio senza feriti né danni, ma sufficiente ad attivare immediatamente gli accertamenti della polizia, concentrati sulle dinamiche e sui possibili collegamenti con i gruppi criminali attivi in diversi quartieri della città.

L’azione viene analizzata come un gesto che potrebbe avere un valore dimostrativo oppure come un tentativo di agguato non andato a segno. Gli inquirenti, però, scartano una delle ipotesi più ricorrenti in casi simili. «Di “stesa” non si può parlare – spiegano fonti investigative -. Il volume di fuoco è troppo esiguo». Sul luogo dell’episodio è stato infatti rinvenuto un solo bossolo.

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Un elemento che non ridimensiona la portata dell’accaduto. I colpi, sono stati percepiti chiaramente e, nonostante l’orario notturno, la strada non era deserta. La presenza di passanti rafforza la valutazione di un gesto che, pur non avendo provocato conseguenze dirette, ha generato un allarme immediato in una zona centrale e altamente simbolica.

Il contesto urbano pesa nella lettura investigativa

Piazza Carolina e le aree limitrofe rappresentano uno snodo frequentato anche nelle ore serali, ed è proprio questo aspetto a rendere l’episodio un segnale preoccupante. Secondo gli investigatori, scrive Gennaro Scala sul «Corriere del Mezzogiorno», si inserisce in un clima di tensione che non riguarda più soltanto le periferie o i quartieri storicamente più esposti.

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Le verifiche della polizia seguono una mappa ampia. I riflettori sono puntati sui Quartieri Spagnoli e su Santa Lucia, ma anche sul rione Sanità e sulle zone del Mercato e dell’Arenaccia. È in questi territori che, da tempo, si muovono gruppi composti in larga parte da giovanissimi. In alcuni casi, si tratta di ragazzi legati da vincoli familiari con figure note della criminalità organizzata locale. «Molti sono minorenni – sottolineano le forze dell’ordine -. Alcuni li conosciamo, ma tanti sono poco più che bambini».

Baby boss e rete investigativa dedicata

L’età non coincide con l’assenza di pericolosità. I soggetti osservati sono molto giovani, ma già armati e disposti a usare le armi. Il fenomeno dei cosiddetti baby boss è da tempo al centro dell’attenzione della Procura e delle forze di polizia, che hanno attivato un gruppo di lavoro dedicato esclusivamente al suo monitoraggio.

Il metodo adottato punta su coordinamento e circolazione delle informazioni. Tutti i dati raccolti durante i controlli su strada e l’analisi dei cosiddetti “reati spia” confluiscono in un unico sistema di osservazione. Il fermo di ragazzi trovati con coltelli o in possesso di scooter rubati diventa così l’innesco per approfondimenti mirati sul contesto di provenienza e sulle relazioni che li circondano.

L’attività investigativa si estende anche al mondo digitale. I social network vengono monitorati per individuare segnali di appartenenza, modelli ricorrenti nell’abbigliamento e tratti comuni nell’immagine. «Non è solo gangsterismo minorile – avvertono gli investigatori -. Va considerato il possibile collegamento con la camorra».

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