Un viaggio nel tempo tra arte e spiritualità
Napoli è la città dalle mille meraviglie: in ogni angolo è presente un pezzo di storia che narra di epoche ormai trascorse, ma che hanno lasciato un’importante impronta. Tra i tanti monumenti di cui vantarsi, di sicuro non può mancare la basilica di Santa Chiara. Questo edificio, la cui costruzione risale al 1310, si trova in via Santa Chiara ed è tra i più grandi complessi monastici gotico-angioini della città, oltre a essere monumento nazionale italiano.
- Basilica di Santa Chiara, un tempio vasto e silenzioso nel cuore della città
- Le voci delle antiche famiglie nobili
- Un percorso tra memorie e devozioni nella basilica di Santa Chiara
- Le storie scolpite nella pietra
- Oltre le porte: silenzi barocchi e voci monastiche
- Dove la città si quieta: il portale, il sagrato e la facciata
- Una torre tra passato e fragilità: la storia del campanile
- Dal chiostro al museo: il cuore che continua a raccontare
L’edificazione fu opera dell’architetto Gagliardo Primario per volere di Roberto d’Angiò e della sua consorte Sancia di Maiorca e, nonostante la costruzione fosse iniziata agli inizi del 1300, terminò completamente nel 1328. L’apertura al culto avvenne nel 1330, ma solo nel 1341 ci fu la consacrazione a Santa Chiara.
Basilica di Santa Chiara, un tempio vasto e silenzioso nel cuore della città
La basilica di Santa Chiara presenta un interno ampio e semplice, lungo 130 metri, largo 40 e alto 45, con un’unica grande navata rettangolare priva di transetto. Lungo le pareti si aprono dieci cappelle per lato, sovrastate da una tribuna continua.

Sulla controfacciata si trovano due importanti testimonianze funerarie: a sinistra il sepolcro di Agnese e Clemenza di Durazzo, attribuito a un seguace dello stile di Tino di Camaino, dove le due sorelle sono raffigurate distese sulla cassa funebre aperta da due angeli, mentre nella parte inferiore compaiono le allegorie della Fede e della Carità. A destra è conservato ciò che resta del monumento funebre di Antonio Penna, opera di Antonio Baboccio da Piperno: il baldacchino gotico è rimasto nella posizione originale, mentre il sarcofago fu spostato in una cappella laterale.
Le voci delle antiche famiglie nobili
Le venti cappelle laterali della basilica di Santa Chiara custodiscono soprattutto sepolcri monumentali di famiglie nobili napoletane, dal Trecento al Seicento. Il pavimento settecentesco di Ferdinando Fuga, decorato con motivi barocchi e con il grande stemma angioino al centro, è uno dei pochi elementi sopravvissuti ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Nella zona del presbiterio si trova ciò che resta del sepolcro di Roberto d’Angiò, affiancato da quelli di Maria di Durazzo e di Carlo d’Angiò, duca di Calabria. L’altare maggiore attuale incorpora parti dell’altare gotico trecentesco di Pacio Bertini.
Le sculture superstiti, che rappresentano santi e apostoli, sono conservate in gran parte nel Museo dell’Opera di Santa Chiara, mentre dietro l’altare si conserva un crocifisso ligneo del XIV secolo. Sulla parete destra del presbiterio è collocato il sepolcro di Maria di Valois, con la figura giacente della defunta, gli angeli reggicortina e una Madonna col Bambino nella cuspide, opera legata alla bottega dei Camaino. Nella stessa area si trova anche l’organo Mascioni del 1962, con oltre duemila canne. Sono presenti 10 cappelle sulla sinistra e 10 sulla destra.
Un percorso tra memorie e devozioni nella basilica di Santa Chiara
Partendo dalla sinistra, la prima cappella custodisce la tomba di Salvo D’Acquisto, mentre la seconda, detta dei Miracoli Antoniani, contiene i sepolcri trecenteschi di Drugo e Nicola de Merloto, decorati con scene sacre e stemmi familiari. La terza ospita i sepolcri di Raimondo e Perotto Cabanis e un frammento di affresco giottesco; la quarta è dedicata a San Giuseppe e conserva resti di affreschi trecenteschi. La quinta contiene un presepe monumentale e la sesta funge da ingresso laterale.
La settima, rimasta intatta dopo la guerra, conserva l’allestimento barocco del Settecento e i sepolcri dei Del Balzo, insieme a una statua di San Francesco di Michelangelo Naccherino. L’ottava ospita i sarcofagi di membri della famiglia De Vivo Piscicelli; la nona contiene un sarcofago romano riutilizzato nel Seicento e un bassorilievo trecentesco; infine la decima, detta dei Martiri Francescani, ospita sepolcri rinascimentali e tre formelle cinquecentesche attribuite a Giovanni da Nola.
Le storie scolpite nella pietra
Proseguendo a destra della basilica di Santa Chiara, la prima cappella è priva di decorazioni rilevanti, mentre la seconda, dedicata a Sant’Agnello, ospita i monumenti funebri del Cavaliere del Nodo e di Antonio Penna, affiancati da resti di affreschi trecenteschi. La terza contiene affreschi e due sepolcri della famiglia Del Balzo, oltre ai monumenti settecenteschi dei fratelli Mauro. La quarta e la quinta formano un unico ambiente dedicato a San Pietro d’Alcantara e a Sant’Antonio da Padova, con dipinti di scuola napoletana del Seicento e sepolcri nobiliari.
La sesta, dedicata a Santa Chiara, espone un affresco staccato e una tela settecentesca raffigurante la morte della santa. La settima custodisce una tavola cinquecentesca della Madonna delle Grazie e un frammento scultoreo con la scena del Bacio di Giuda. L’ottava, dedicata alla Natività, conserva ciò che resta del sepolcro del piccolo Ludovico di Durazzo e una pala di Marco da Siena con l’Adorazione dei pastori.
La nona è dedicata al beato Modestino, mentre la decima, la cappella dei Borbone, accoglie le tombe dei sovrani delle Due Sicilie; sulla parete frontale è collocata l’Incredulità di san Tommaso di Girolamo Macchietti. Accanto si trova uno dei pochi affreschi trecenteschi scampati alla guerra, la cosiddetta Madonna del Cucito.
Oltre le porte: silenzi barocchi e voci monastiche
A destra del presbiterio si accede alla sacrestia barocca, con arredi del Seicento e, attraverso alcuni ambienti decorati con maioliche e affreschi, si raggiunge il coro delle monache, progettato da Leonardo Vito come una piccola chiesa interna. Qui si conservano l’arcosolio di Roberto d’Angiò e resti di affreschi giotteschi con scene bibliche e apocalittiche.
Dove la città si quieta: il portale, il sagrato e la facciata
All’esterno si trova un grande portale gotico del XIV secolo, arretrato nel 1973 di cinque metri rispetto alla sede stradale, che conserva ancora oggi l’essenzialità dell’arco ribassato e della lunetta priva di decorazioni, protetta da un’unghia sporgente in piperno. A separare la chiesa dalla strada c’è il sagrato, completamente recintato da un alto muro, che crea una sorta di anticamera silenziosa prima dell’accesso al complesso monumentale.

La facciata a capanna è anticipata da un pronao a tre arcate ogivali, e l’arco centrale incornicia la porta principale, realizzata in marmi rossi e gialli e sormontata dallo stemma di Sancha, la regina che volle la costruzione dell’intero complesso. In alto è presente il rosone, ricostruito in gran parte dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
Una torre tra passato e fragilità: la storia del campanile
Alla sinistra della basilica di Santa Chiara sorge il campanile, la cui costruzione fu avviata nel 1338. La torre venne lasciata incompleta a causa della morte di Roberto d’Angiò e del conseguente blocco dei finanziamenti; il crollo provocato dal terremoto del 1456 ridusse ulteriormente ciò che era stato costruito, lasciando in piedi solo il basamento marmoreo. La ricostruzione, impostata in stile barocco, si concluse soltanto nel 1604 sotto la direzione dell’ingegnere Costantino Avellone. Oggi il campanile presenta una pianta quadrata e tre livelli separati da cornicioni marmorei.
Il piano inferiore, in blocchi di pietra, è l’unica parte superstite della struttura trecentesca, mentre i due piani superiori, in mattoncini con lesene tuscaniche e ioniche, appartengono ai rifacimenti successivi. Una trabeazione con triglifi e metope decorate da simboli francescani corre tra il secondo e il terzo ordine, mentre lungo il basamento e il primo livello si sviluppano quattro iscrizioni angioine che raccontano, non sempre in ordine cronologico, la fondazione della chiesa tra il 1310 e il 1340.
Le fonti storiche non concordano sull’altezza originaria della torre: alcune cronache la descrivono da sempre incompiuta, mentre altre ipotizzano la perdita di due livelli superiori, forse abbattuti durante le rivolte del XVII secolo per impedirne l’uso militare.
Dal chiostro al museo: il cuore che continua a raccontare
All’interno una scala a chiocciola conduce fino al tetto; gli interventi di restauro avviati nel 2014 hanno reso nuovamente accessibili ai visitatori tutti e tre i piani. Oggi, nel piano terra del chiostro delle Clarisse, trova spazio, dal 1995, il Museo dell’Opera di Santa Chiara. Il percorso espositivo si sviluppa in diverse sezioni che spaziano dai reperti archeologici riportati alla luce nel dopoguerra sotto la basilica di Santa Chiara, ai pannelli che ne ricostruiscono la storia, fino alle sale dedicate agli arredi sacri e agli elementi scultorei sopravvissuti e recuperati dopo l’incendio del 1943.




