Rinnovo contratti: aumenti per 1,3 milioni tra docenti e personale Ata
A forza d’invocare l’uomo nero, la sinistra ha finito per richiamare in vita l’unico spettro che, grazie a loro, era ancora in circolazione: quello rosso sessantottino. Figlio delle Brigate Rosse, definite all’epoca «compagni che sbagliano», per scaricare su di loro tutte le responsabilità dei tragici eventi del momento, scagionando gli altri.
Oggi «erranti» da correggere non ce ne sono più, ma c’è un governo di centrodestra contro cui sparare a zero, accusandolo di tutto e del suo contrario, mettendo a rischio libertà, diritti e Costituzione. Tant’è che, il 18 novembre 2022, quando ancora non aveva festeggiato il suo primo mese di vita, cortei di studenti del Coordinamento Universitario (Link) e della Rete degli Studenti e collettivi autonomisti sono scesi in piazza, aprendo la serie dei «No Meloni Day». Poi si sono inventati altri «no» contro cui protestare, e si sono moltiplicate le componenti «combattenti»: pro-Pal, collettivi studenteschi, gruppi alternativi, sindacati di base, centri sociali, tutti al grido di «blocchiamo tutto».
«Blocchiamo tutto»: la nuova parola d’ordine della protesta
Slogan che, se non proprio figlio naturale, è quantomeno «amico intimo» di quella «rivolta sociale» inventata da Landini, nel momento in cui ha deciso che il compito del sindacato non dovesse più essere la difesa del lavoro, degli stipendi e della tenuta della moneta, ma quello di trasformarsi in partito politico e sparare ad alzo zero contro la Meloni e il suo esecutivo.
Operazione nella quale, inizialmente, è riuscito a tirarsi dietro anche il leader dell’Uil, Bombardieri, che poi ha preferito lasciarlo sui due piedi e abbandonarlo al proprio destino, appena resosi conto di quale fosse veramente il gioco del suo collega cigiellino: fingere di combattere il governo con l’obiettivo – approfittando dei flop elettorali di M5s e Pd e del tonfo dei consensi personali – di mettere all’angolo il «paglietta» di Volturara Appula e la capa triforcuta del Pd, assumendo in prima persona il comando dell’intera sinistra, anche se ormai ridotta a una boccheggiante «armata Brancaleone».
Oltre 30 mila proteste in tre anni
Sicché, da quel momento a oggi, sono state ben oltre 30 mila le manifestazioni di protesta nel triennio 2023-2025, con una media tutt’altro che invidiabile di oltre 10 mila all’anno, ovvero più di 30 al giorno. E scusate se sono poche, ma tenete anche conto che l’anno non è ancora finito.
In teoria, manifestazioni ufficialmente pacifiche di cittadini comuni per proteggere i propri interessi, ma, pur partite in tranquillità e sfilate con ordine e civiltà, si sono quasi sempre trasformate in guerriglie.
Il che lascia pensare che dietro queste proteste ci fosse, e ci sia, un’organizzazione unica, visto che gruppi di violenti, ogni volta al momento opportuno (messi da parte gli interessi dei cittadini), tolgono la maschera, escono dai cortei, cominciano ad assaltare negozi, distruggere vetrine, bruciare cassonetti, lanciare sassi, bottiglie e oggetti di ogni tipo e dimensione, attaccando le forze dell’ordine – impegnate nella difesa della sicurezza dei manifestanti veri – costringendole a doversi difendere.
Di conseguenza, il bilancio di tali manifestazioni teoricamente pacifiche si chiude sempre in passivo, con agenti e civili feriti (quasi sempre più i primi che i secondi), costretti a ricorrere agli ospedali. I commercianti, invece, devono mettere mano al portafoglio per riparare i danni subiti prima di poter tornare a lavorare.
«L’Europa dovrebbe imparare dall’Italia»
E il peggio, alla luce degli eventi e dei programmi che i profeti della contestazione stanno predisponendo, è che nel futuro immediato – ma anche in quello più lontano – siamo messi peggio del presente.
Tant’è che, se da una parte Landini, con la finanziaria ancora in fase di stesura, ha annunciato una manifestazione di protesta per il 12 dicembre, fingendo – more solito – di non aver sentito né letto che, per questa manovra, il Financial Times ha già promosso l’esecutivo («l’Europa dovrebbe imparare dall’Italia»), prima però, il 14 novembre, probabilmente parteciperà insieme ai compagni di sempre – collettivi studenteschi e sindacati di base – alla celebrazione dell’ennesimo «No Meloni Day» contro «la manovra di guerra e rapina del governo» per immobilizzare il Paese.
Tutti insieme si blocca meglio e si fa più rumore. A proposito, Maurizio afferma di lottare per maggiori investimenti nella sanità e per far crescere i salari. Chissà, forse qualcuno gli ha rubato gli occhiali da lettura e non sa che la finanziaria 2026 implementa il fondo sanitario di 6,5 miliardi rispetto a quella 2025 e che, per quanto riguarda i salari, secondo dati Istat, nel 2025 sono già cresciuti del 3,3% rispetto al 2024, che a sua volta aveva registrato un +3,1% rispetto al 2023.
Eppure il signor «rivolta sociale» – a differenza di tutte le altre sigle sindacali della scuola, che hanno invece firmato il rinnovo del contratto con aumenti di 150 euro al mese per gli insegnanti e 110 per il personale Ata, per circa 1,3 milioni di lavoratori complessivi – e la sua Cgil hanno detto no. Perché?




