La politica deve tornare ad ascoltare, educare e unire
Viviamo in un’epoca in cui il rumore della politica sembra assordante, eppure il segnale più forte arriva dal silenzio. Un silenzio profondo, che si manifesta in modo inequivocabile ogni volta che si aprono le urne: l’astensionismo.
Tutti parlano, urlano, riempiono piazze, si contendono il palcoscenico nei talk show, rincorrono i sondaggi come fossero oracoli. Eppure, da tempo, il vero ago della bilancia non è più rappresentato da chi partecipa attivamente alla competizione politica, ma da chi sceglie di restarne fuori.
Se le previsioni saranno confermate, e tutto lascia pensare che non solo lo saranno, ma verranno ampiamente superate,ci troveremo di fronte a un dato allarmante: più della metà del corpo elettorale non si recherà alle urne. Un oceano di persone che non si riconosce più nei linguaggi, nei volti, nei riti della politica. Un vuoto di partecipazione che non possiamo più leggere come semplice disinteresse o apatia.
Cosa non funziona più nel rapporto tra cittadini e politica?
E la verità, ancora più scomoda, è che questa dinamica del non voto non riguarda solo paesi in crisi o sistemi democratici fragili. No. L’astensionismo ormai abita stabilmente anche le democrazie mature, quelle dove i servizi funzionano, dove l’economia tiene, dove i diritti sembrano acquisiti. E allora la domanda cambia: non è più solo «perché si astengono?», ma «cosa non funziona più nel rapporto tra cittadini e politica, anche dove tutto dovrebbe funzionare?»
Dobbiamo interrogarci con onestà:
La politica non attrae più?
Chi la rappresenta non riesce più a scaldare i cuori?
O forse il livello culturale, anche nei paesi più avanzati, è sceso così in basso che nessuno si vuole più occupare del futuro dei propri figli, del bene comune, della qualità della democrazia?
Una rigenerazione profonda della politica
Se fosse davvero così, allora sì: ci stiamo incanalando, lentamente ma con decisione, verso uno dei momenti più bui degli ultimi anni. Un’epoca dove la democrazia resta formalmente in piedi, ma priva di anima, svuotata di partecipazione, terreno fertile per l’autoritarismo strisciante, per la rassegnazione civile, per l’individualismo che si traveste da libertà.
Ma non siamo obbligati a restare spettatori di questo declino. Serve una risposta radicale e concreta. Non bastano le campagne elettorali accattivanti o le dirette social. Serve una rigenerazione profonda della politica come spazio di ascolto, educazione e comunità. Serve riportare la partecipazione nei luoghi della vita vera: nelle scuole, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Serve formare cittadini, non solo elettori. Serve smettere di parlare alle paure e ricominciare a parlare ai desideri, alle visioni, alla speranza.
Perché la politica non è solo potere. È anche cura. È responsabilità. È memoria del passato e costruzione del futuro. E se oggi intere generazioni si allontanano da essa, forse è tempo che chi ha a cuore le istituzioni si metta in discussione, fino in fondo. Il futuro non si eredita. Si costruisce. E per costruirlo, bisogna tornare a crederci. Insieme.




