Moda borbonica e abiti reali: lo splendore della corte dei re di Napoli

L’eleganza del potere dei Borbone

Il regno borbonico a Napoli (a partire dal 1734) segnò una stagione di rilancio politico, artistico e culturale per la città, che volle ambire a diventare una capitale europea anche attraverso la rappresentazione scenica del potere. In questo contesto, la moda borbonica assunse un ruolo centrale: dall’abito non solo si proclamava ricchezza e rango, ma si veicolavano messaggi di legittimità dinastica, continuità culturale e propensione all’eleganza internazionale.

La corte napoletana si impegnò a costruire un’immagine visibile e cerimoniosa. Le stanze dei palazzi reali ospitavano cerimonie, balli e feste pubbliche in cui l’abbigliamento assumeva un ruolo rituale: i sovrani dovevano apparire sempre in costumi che riflettessero la loro sovranità e la connessione con le culture di corte europee.

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Le cronache cerimoniali e i trattati di corte (i “cerimoniali”) preservano indicazioni sui codici d’abbigliamento e sulle gerarchie di rango. Un documento del cerimoniale napoletano annota, ad esempio, i tempi in cui la regina doveva essere “vestita” e mostrata al pubblico, con uno sfarzo calibrato sulle aspettative politiche del momento.

Non si trattava dunque soltanto di vesti appariscenti, ma di uno strumento di governo simbolico: dietro alle stoffe preziose, ai ricami e ai gioielli, si articolava un sistema di visibilità e prestigio che legava Napoli alle altre corti europee. Ogni piega, ogni colore e ogni accessorio comunicavano appartenenza, potere e gusto.

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Influenze, silhouette e linguaggio del corpo

La moda della corte napoletana guardava con attenzione alle capitali del gusto: Parigi, la corte imperiale di Vienna, le mode di Spagna e di Torino furono modelli di riferimento. Tuttavia, la moda borbonica non era una semplice copia: veniva rielaborata per adattarsi al patrimonio artigianale locale, alle condizioni climatiche e alle aspettative di splendore del Regno.

Il belvedere di San Leucio

Ad esempio, la seta di San Leucio — che divenne famosa sotto Ferdinando IV — fu uno dei prodotti tessili locali più ammirati; i tessuti così prodotti, insieme ai broccati, ai velluti e ai ricami metallici, costituiscono l’anima materiale dello stile di corte. Le sartorie napoletane colsero l’occasione per salire di rango, offrendo capi su misura per la casa reale e per le aristocrazie locali.

Silhouette e tagli: corpo, proporzioni, movimento

Nel Settecento le silhouette femminili furono modellate da corsetti rigidi, bustini strutturati e sottogonne volumetriche (panier, gabbie). Le vesti da corte aprivano larghe gonne, con strati di velo o decorazioni. L’effetto dava teatralità al passo e al gesto. Le acconciature elaborate con riccioli, piume, diademi, fiori e nastri completavano l’apparato visivo.

Anche per gli uomini, il codice del corpo era rigoroso: giacche strutturate, panciotti ricamati, calzoni aderenti (al ginocchio o alla caviglia a seconda dell’epoca) e calze di seta. Le giacche presentavano risvolti, alamari, bottoni decorati, pizzi ai polsi e colli alti, mentre il mantello d’apparato costituiva elemento scenico nelle uscite ufficiali di sovrani o dignitari.

Le pose nei ritratti ufficiali contribuiscono a farci comprendere il linguaggio del corpo voluto: la rigidità della postura dava una sensazione di autorità, mentre il movimento del drappeggio e della stoffa suggeriva grazia e ricchezza. Nei cerimoniali, le figure camminavano in modo coreografico, ben consapevoli del potere del gesto visivo.

Il cerimoniale dello sfarzo: gesti, tempi e visibilità

Le corti monarchiche regolavano ogni manifestazione pubblica con protocolli severi: dall’“uscita” della regina alla sala del trono fino alla processione religiosa, ogni momento aveva un ritmo preciso. Tra i documenti dei cerimoniali napoletani vi sono annotazioni che segnalano quando e come la regina doveva essere “vestita” e mostrata al popolo, cioè in quali ore del giorno fosse lecito apparire in veste ufficiale.

In eventi come la nascita dell’erede al trono o il battesimo reale, la corte disponeva che le stanze reali fossero preparate, le stoffe posizionate, i vestiti sistemati in anticipo: ogni gesto era parte di un protocollo visivo che accompagnava la dimensione pubblica della sovranità. In una lettera del 1740, Carlo di Borbone lamentava quanto fosse difficile controllare le fughe di notizie circa lo stato di gravidanza della regina, perché ogni trasformazione fisica veniva osservata, annotata e resa simbolica.

Inoltre, attraverso le feste, i balli ufficiali e le cerimonie pubbliche, la moda borbonica si mostrava nel suo pieno effetto: abiti, luci, danze e cortei concorrevano a costruire un’immagine visibile del potere, di cui l’abito era parte integrante del palcoscenico della regalità.

Gli abiti di corte: cerimoniale, quotidiano e ritrattistica

Nella corte borbonica, gli abiti cerimoniali costituivano l’apice del sistema dell’immagine reale: erano quelli usati in grandi occasioni, come incoronazioni, feste di corte, cerimonie religiose, funzioni ufficiali, e spesso seguivano rigidi protocolli stilistici. Le decorazioni si facevano sontuose: stoffe ricamate, pizzi in filo d’oro o d’argento, drappeggi e mantelli con pellicce, e grandi gioielli come collane, diademi e pendenti.

I cerimoniali di corte napoletani indicavano non solo che tipo di abito doveva indossare la regina o il re, ma in quali stanze, in quale orario e con quali sudditi in vista dovevano essere esposti. In alcuni documenti del cerimoniale della corte di Carlo di Borbone è riportato che la regina dovesse essere “vestita e fatta vedere” al popolo in momenti prestabiliti.

Spesso gli abiti di cerimonia dovevano includere simboli visivi della sovranità: stemmi borbonici, gigli, figure araldiche ricamate nei tessuti, colori ufficiali della corte (azzurro, oro, rosso). Il movimento fluido delle stoffe e la ricchezza dei materiali servivano a enfatizzare la maestosità del sovrano o della regina.

Abiti quotidiani e di uso meno formale

Va detto che, per i sovrani, anche gli abiti cosiddetti “quotidiani” non erano affatto semplici: erano comunque confezionati con gusto e artificio, anche se più sobri rispetto a quelli cerimoniali. Per gli usi privati, le stanze del palazzo, le apparizioni in cerchie ristrette, si prediligevano vesti in seta semplice, velluto o tessuti di pregio ma con minori applicazioni ornamentali, senza mantelli opulenti né troppi gioielli vistosi.

Un buon esempio è il ritratto di Carlo di Borbone in abiti da caccia: un dipinto conservato a Capodimonte, in cui il sovrano appare in vesti nobili ma pratiche, privo di insegne sovrane esagerate e con elementi che segnalano il gusto aristocratico ma la funzione più informale.

Il ruolo della ritrattistica

I ritratti di corte sono tra le fonti più preziose per ricostruire gli abiti dei Borbone di Napoli: guardando i quadri, le miniature e gli affreschi riusciamo spesso a cogliere dettagli altrimenti perduti (bottoni, pieghe, inserti, gemme, tipo di pizzo). I pittori ufficiali dovevano rendere la persona ma anche il messaggio visivo del potere. Spesso il soggetto è presentato con posa solenne, drappeggi, giochi di luce che mettono in risalto stoffe e decori.

Un ritratto di Maria Carolina, ad esempio, la rappresenta con ampie vesti decorate, gioielli e acconciature elaborate, mostrando non solo la sua persona ma il suo ruolo dinastico e la ricchezza della corte. Le aule museali e le collezioni reali contengono numerosi ritratti che testimoniano la varietà e la ricchezza dello stile di corte.

Si possono anche confrontare ritratti di epoche diverse nella dinastia borbonica per vedere l’evoluzione delle fogge e degli ornamenti, fino al periodo delle Due Sicilie, quando le uniformi militari e le livree entrarono a pieno titolo nel guardaroba reale (cfr. le uniformi militari, vedi sotto). Le immagini fungono da “catalogo visivo” della moda borbonica nel tempo.

Tessuti, accessori e simboli: come leggere un abito borbonico

Le materie prime e le produzioni tessili

Uno degli asset fondamentali della moda di corte fu l’industria tessile. In particolare, la manifattura di San Leucio, voluta sotto Ferdinando IV, fu uno dei centri tessili più avanzati del Regno: produceva sete e tessuti di pregio per la casa reale, la nobiltà napoletana e per l’export. I tessuti di San Leucio rifornivano non solo gli abiti reali ma anche tappezzerie e arredamenti di corte.

La corte acquistava anche materiali raffinati dall’estero (pizzi, merletti, fili metallici) e combinava tutto con la tradizione artigianale locale, in un dialogo tra mercato e bottega.

Accessori e decorazioni: il linguaggio simbolico

Gli accessori sono elementi essenziali per interpretare un abito borbonico. Ecco i principali:

  • Gioielli (corone, diademi, collane, orecchini, pendenti): usati per enfatizzare lo status regale, spesso con pietre preziose e simboli araldici.

  • Bottoni, alamari, trene, passamanerie in filo d’oro o d’argento: applicati su giacche e mantelli per arricchire l’effetto visivo e distinguere ranghi militari o cerimoniali.

  • Fibbie, fibule, cinture ornate: indicavano funzione, rango e stile (più sobrie o più decorative, a seconda dell’uso).

  • Ventagli, guanti, sciarpe: accessori femminili che integravano l’abito e servivano anche al galateo di cortesia.

Un abito borbonico ben decorato è denso di segni: lo stemma reale o simboli borbonici (gigli, stemmi, corona) potevano essere ricamati nei tessuti. Le scelte cromatiche servivano a rinforzare il legame visivo con la dynastia.

Le uniformi militari e la livrea di corte

Con il tempo le uniformi militari diventarono parte integrante dello stile sovrano. Le armi portarono con sé fogge, codici e ornamenti militari che furono “nobilitati” per essere indossati anche in occasioni ufficiali. Le uniformi dell’Esercito borbonico (poi Real Esercito delle Due Sicilie) si ispiravano alle fogge spagnole e francesi, ma con adattamenti locali: giacche con code, alamari, bottoni metallici dorati/argentati, cappelli a tricorno o bicorno, shakot, e ricami ai colletti e paramani per gli ufficiali.

Nel Regno delle Due Sicilie, le divise si raffinano e si arricchiscono: le giamberghe (giacche corte) diventano più aderenti, con spalle imbottite, falde smussate e chiusura differente rispetto ai modelli stranieri. Il cappello evolve: il tricorno si riduce, il bicorno acquista decorazioni. Gli ufficiali portano ricami al tessuto, bottoni in metallo prezioso, cordonature dorate.

La moda borbonica militare non era solo “decorativa”, ma anche segno di distinzione di corpo, grado e funzione, integrando il simbolismo dell’armata con la rappresentazione dello Stato.

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