Dalle origini angioine al museo moderno: la meraviglia della Certosa di San Martino

Sette secoli di arte e fede in uno dei simboli più maestosi di Napoli

Fondata nel 1325 per volontà di Carlo d’Angiò, la Certosa di San Martino è uno dei simboli più alti del potere e della spiritualità a Napoli. Posizionata sulla collina del Vomero, è la seconda certosa della Campania dopo quella di San Lorenzo a Padula. Di origine barocca, comprende circa cento sale, tre chiostri, due chiese, un cortile, quattro cappelle e diversi spazi all’aperto. Nel 1325 Carlo d’Angiò ordinò la costruzione di un monastero certosino scegliendo per l’impresa l’ordine religioso prediletto dalla casa reale francese.

Alla guida del progetto furono chiamati Tino di Camaino e Francesco di Vito, anche se dopo la morte di Camaino, la direzione passò al suo allievo Attanasio Primario, affiancato da Giovanni de Bozza. Sebbene i monaci certosini si insediarono già nel 1337, la Certosa venne ufficialmente inaugurata e consacrata soltanto nel 1368, durante il regno di Giovanna I d’Angiò.

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Dell’impianto originario restano poche testimonianze visibili all’interno del complesso, mentre sono molto più estesi e significativi gli ambienti sotterranei, resi accessibili al pubblico solo nel 2015, che rivelano l’impostazione gotica primitiva e suggeriscono che Camaino avesse incorporato strutture preesistenti legate al castello di Belforte, scavate nella collina e impiegate come base dell’intera Certosa.

Il complesso fu dedicato a San Martino di Tours, probabilmente per la presenza in loco di una cappella più antica a lui intitolata. Successivamente, con la spinta della Controriforma, la Certosa subì un profondo rinnovamento secondo i canoni tardo manieristi e barocchi. Tra il 1589 e il 1609, i lavori furono affidati a Giovanni Antonio Dosio, che ridisegnò il monastero conferendogli l’aspetto monumentale attuale. A lui si devono la ristrutturazione del chiostro grande con l’aggiunta di nuove celle, la costruzione del chiostro dei Procuratori, l’ampliamento della chiesa e la creazione di numerosi ambienti come il coro, il parlatorio, il refettorio e la cappella del Tesoro Nuovo.

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Le trasformazioni barocche e gli artisti del Seicento

Le decorazioni pittoriche di questo periodo furono affidate ad artisti di spicco come il Cavalier d’Arpino, Belisario Corenzio, Giovanni Baglione, Lazzaro Tavarone, Andrea Lilli e Avanzino Nucci, mentre le sculture furono opera di Pietro Bernini, Michelangelo Naccherino e Giovan Battista Caccini. Tra il 1618 e il 1623, il cantiere fu diretto da Giovan Giacomo di Conforto, che proseguì i progetti di Dosio, mentre dal 1623 al 1656 Cosimo Fanzago trasformò radicalmente il complesso, donandogli la sontuosa veste barocca che ancora oggi lo contraddistingue. A lui si devono la facciata della chiesa, le ricche decorazioni marmoree interne, i busti che adornano il porticato del chiostro grande e il celebre cimitero del priore, modello per quello della Certosa di Padula.

Nel corso di questa fase lavorarono anche alcuni dei più importanti pittori napoletani del Seicento come Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera, Luca Giordano, Battistello Caracciolo e Paolo Finoglio. Durante la prima metà del Settecento, l’opera di rinnovamento proseguì con Nicola Tagliacozzi Canale e Domenico Antonio Vaccaro, impegnati soprattutto nel rifacimento degli ambienti del priore, arricchiti dagli affreschi di Crescenzio Gamba. Le decorazioni pittoriche furono affidate principalmente a Francesco Solimena e Francesco De Mura.

Dalle soppressioni monastiche al Museo Nazionale

Le vicende storiche della Certosa furono però molto travagliate, poiché i monaci certosini furono espulsi nel 1799, rientrarono nel 1804, ma furono nuovamente allontanati nel 1807. Riammessi nel 1836, vennero definitivamente espropriati nel 1866, quando il complesso fu trasformato nel Museo Nazionale di San Martino, divenendo un bene monumentale dello Stato italiano su iniziativa di Giuseppe Fiorelli. Prima ancora di entrare nel complesso, si incontra sulla sinistra la chiesa delle Donne, costruita da Giovanni Antonio Dosio nel XVI secolo e decorata con stucchi barocchi.

Era lo spazio destinato alle fedeli che, per le regole dell’ordine certosino, non potevano accedere al monastero vero e proprio. Sulla destra, invece, si trova l’ingresso principale, un portale sormontato da uno stemma angioino e da un affresco di San Bruno, fondatore dell’ordine. Superato l’androne, si giunge al cortile d’onore, anch’esso progettato dal Dosio, e proprio qui si affaccia la chiesa principale.

La chiesa: architettura, decorazioni e capolavori

La facciata della chiesa è stata rimaneggiata più volte tra Cinque e Seicento, dalle linee rinascimentali di Dosio alle aggiunte barocche di Cosimo Fanzago, fino agli interventi settecenteschi di Nicola Tagliacozzi Canale. Il pronao, che introduce all’interno, presenta affreschi del Cavalier d’Arpino, Micco Spadaro e Belisario Corenzio, che narrano le origini della Certosa e i miracoli di San Bruno.

All’interno, un’unica navata con le decorazioni di Cosimo Fanzago, il pavimento dalle geometrie perfette che sembra quasi muoversi sotto i piedi e gli affreschi di Giovanni Lanfranco che aprono la volta al cielo con «l’Ascensione di Cristo». Le otto cappelle laterali, quattro per lato, custodiscono capolavori dei più grandi artisti napoletani del Seicento e Settecento: infatti, si incontrano le tele drammatiche di Battistello Caracciolo, le figure intense del Ribera, le eleganze di Francesco De Mura, le sculture di Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro.

Tra le più suggestive, la cappella di San Bruno, con i dipinti di Stanzione e le statue che celebrano la solitudine e la penitenza del santo fondatore, e quella di San Gennaro, dove la città di Napoli affida al suo patrono la propria protezione. Il percorso conduce poi al presbiterio, dominato da un coro ligneo del Seicento e da un altare che brilla di intarsi marmorei e bronzi dorati. Sulla volta si intrecciano le storie bibliche affrescate dal Cavalier d’Arpino, mentre lungo le pareti campeggiano grandi tele di Guido Reni, Ribera e Stanzione.

Il refettorio, i chiostri e gli ambienti monastici

Dalla zona absidale si accede a una serie di ambienti minori, ognuno con la propria meraviglia, come la sacrestia, con i soffitti affrescati dal Cavalier d’Arpino e gli arredi lignei finemente intarsiati, e poco più avanti, la cappella del Tesoro Nuovo. Il refettorio, ampio e solenne, dove i monaci si riunivano solo in occasioni speciali, le cui pareti contengono la grande tela di Nicola Malinconico con «Le Nozze di Cana».

Dal refettorio si accede al chiostrino, con il lavamano marmoreo di Fanzago e il busto di San Bruno di Matteo Bottiglieri, e da qui a una piccola cappella dedicata alla Maddalena, dove le architetture dipinte di Giovan Battista Natali creano illusioni prospettiche sorprendenti. Alle spalle della chiesa si snoda infine il celebre corridoio fanzaghiano, un passaggio in pietra e luce che collega i principali ambienti del complesso.

La Certosa di San Martino custodisce inoltre due chiostri principali: il chiostro dei procuratori e il chiostro grande, entrambi concepiti da Giovanni Antonio Dosio alla fine del XVI secolo. Il chiostro dei procuratori, con la sua successione di archi e la pietra grigia del piperno alternata al marmo bianco, offre un colpo d’occhio armonioso e raffinato. Al centro si erge un pozzo in piperno, opera di Felice De Felice, mentre lungo le pareti sono visibili epigrafi storiche e stemmi provenienti dai quartieri di Napoli.

Il Quarto del Priore, la farmacia e i giardini pensili

Il chiostro grande, invece, costruito sopra una struttura trecentesca, fu completato da Cosimo Fanzago; le arcate e le balaustre barocche dialogano con sculture che raffigurano santi e figure bibliche, mentre al centro domina un pozzo in marmo scolpito da Dosio. Il Quarto del Priore rappresentava la dimora privata del superiore del monastero; alcune sale conservano ancora gli affreschi di Micco Spadaro, raffiguranti paesaggi e santi, mentre gli ambienti originariamente destinati alla biblioteca presentano pavimenti maiolicati settecenteschi e decorazioni raffinate: nella prima sala «Il Trionfo della Fede» di Crescenzo Gamba, nella seconda il «San Bruno che riceve la regola certosina».

Altre stanze, un tempo espositive per la quadreria della Certosa, oggi ospitano opere della scuola napoletana del XVII e XVIII secolo, tra pittura, scultura e monumenti funebri, con artisti come Pacecco De Rosa, Andrea Vaccaro, Battistello Caracciolo e Giuseppe Sanmartino.

Alcune sale mantengono ancora gli affreschi originali lungo le pareti e la loggia del Quarto permette una vista spettacolare sul golfo di Napoli. La farmacia, nata alla fine del XVII secolo per curare i monaci, è decorata con affreschi raffiguranti putti, virtù e San Bruno che intercede presso la Vergine per gli infermi, opera di Paolo De Matteis. Oggi ospita una selezione di vasi storici e alcuni pezzi museali, tra cui il bozzetto del «Cristo Velato» di Antonio Corradini, anticipazione della celebre scultura di Sanmartino.

Per quanto riguarda gli spazi aperti, ci sono i giardini pensili che si estendono su sette ettari, degradando lungo la collina e creando un percorso scenografico tipico del giardino barocco. Il ripiano superiore ospitava le erbe curative della farmacia, quello intermedio l’orto del priore con un pergolato settecentesco, e i livelli inferiori le vigne dei monaci, completate da sentieri, terrazzamenti e piccoli edifici.

Le fondamenta gotiche e il museo moderno

Sotto la Certosa si sviluppano delle fondamenta gotiche con volte ogivali alte più di 15 metri e proprio qui si conservano circa 150 opere tra epigrafi e sculture, dal XIII al XVIII secolo, tra cui spiccano statue di Angelo Viva, Giuseppe Sanmartino e Pietro Bernini. Oggi l’intero spazio ospita il «Museo Nazionale di San Martino», articolato in varie sezioni: il Quarto del Priore, la farmacia, il refettorio, le celle dei monaci, la foresteria e il chiostro grande. Vi si trovano collezioni di carrozze, opere pittoriche e scultoree, arte presepiale, arti decorative, teatro, memorie della città, stampe e disegni, offrendo uno sguardo completo sulla storia di Napoli dal periodo borbonico al postunitario.

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