Questa estate 2025, il Vesuvio è stato teatro di un devastante incendio, un’emergenza ambientale che ha lasciato un segno profondo ma anche acceso una speranza di rinascita. Il rogo, iniziato nella notte tra il 7 e l’8 agosto nella pineta di Terzigno, si è rapidamente esteso tra Terzigno, Boscotrecase, Ottaviano, Trecase e Somma Vesuviana, distruggendo oltre 500 ettari di vegetazione mediterranea, come pinete, macchia e boschi, un territorio ricchissimo di biodiversità e tradizioni agricole.
La minaccia si è estesa anche ai vigneti da cui nasce il prestigioso Lacryma Christi del Vesuvio, simbolo del Vino DOC Vesuvio: Coldiretti ha definito la situazione “un disastro ambientale e agricolo enorme”, evidenziando che l’incendio ha seriamente compromesso la qualità dell’uva durante il periodo cruciale della vendemmia.
Eppure, nonostante il terrore iniziale, è arrivata una speranza concreta. L’assessore all’Agricoltura della Regione Campania, Nicola Caputo, ha comunicato che grazie all’azione tempestiva di Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Esercito, volontari e Canadair, solo l’1% dei 260 ettari di vigneti dedicati al Lacryma Christi del Vesuvio è stato compromesso, grazie alla capacità di circoscrivere l’incendio e salvare, salvo casi isolati, le colture preziose.
La leggenda che dà vita al Lacryma Christi del Vesuvio
Il nome Lacryma Christi del Vesuvio evoca subito un fascino mistico, un legame profondo tra sacro e natura. La leggenda più diffusa racconta che Lucifero, cacciato dal Paradiso, rubò un pezzo di Eden e precipitò sulle pendici del Vesuvio, distruggendo un lembo di cielo che si trasformò nel Golfo di Napoli. Cristo, sgomento per la perdita, pianse copiose lacrime sulle pendici del vulcano: dalle sue lacrime sorsero le vigne che producevano quello che oggi chiamiamo Lacryma Christi del Vesuvio.
Una seconda versione, variamente riportata, narra che Gesù, in una delle sue discese sulla Terra, incontrò un eremita generoso e trasformò in vino una bevanda non potabile che l’eremita voleva offrire. Fu un gesto divino che trasformò una semplice generosità in un vino eccellente: nacque così il Lacryma Christi del Vesuvio.
Al di là della leggenda, la storia del vino affonda le sue radici nell’antichità: già i Romani amavano i vini del Vesuvio, tanto che Marziale li celebrava con versi come «Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa». Si ritiene che i primi vitigni furono impiantati nella zona dai Tessali, coloni greci del V secolo a.C., mentre la diffusione più sistematica della viticoltura fu favorita dai frati Cappuccini di Torre del Greco.
Il Lacryma Christi del Vesuvio è parte integrante del Vino DOC Vesuvio, assunto come sottodenominazione più prestigiosa: più del 90% della produzione DOC utilizza questa denominazione, regolata fin dal 1983.
Territorio, vitigni autoctoni e DOC: l’identità del Vino DOC Vesuvio
Il Vino DOC Vesuvio è uno dei pilastri dell’enologia campana, e il Lacryma Christi del Vesuvio ne rappresenta l’eccellenza. La DOC Vesuvio, istituita ufficialmente nel 1969 e aggiornata nel 1983, comprende 15 comuni pedemontani del Vesuvio: Boscotrecase, Terzigno, Ottaviano, Trecase, Somma Vesuviana, Ercolano e Torre del Greco sono i principali centri produttivi.
Il territorio vulcanico del Vesuvio, con terreni ricchi di cenere, lapilli e minerali, conferisce ai vigneti una straordinaria fertilità e una mineralità unica al vino. Questo suolo, insieme al microclima mediterraneo favorisce la crescita di vitigni autoctoni di grande qualità.
Vitigni principali:
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Bianchi: Coda di Volpe (detto anche Caprettone), Verdeca, Falanghina, Greco. Producono vini dal colore giallo paglierino con profumi fruttati e note floreali, caratterizzati da freschezza e mineralità tipica del Vesuvio.
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Rossi e Rosati: Piedirosso (“Per’ e Palummo”), Sciascinoso, Aglianico. Offrono aromi complessi di frutti rossi, spezie e note vulcaniche, con una struttura equilibrata e lunga persistenza.
La coltivazione a vite maritata e a filari tipici delle pendici vulcaniche, insieme a tecniche tradizionali tramandate dai frati Cappuccini, rende il Lacryma Christi del Vesuvio un vino che unisce storia, mito e terroir. Ogni vendemmia riflette il legame inscindibile tra uomo e Vesuvio, tra passato e presente.
Il futuro del Lacryma Christi del Vesuvio dopo l’incendio estivo
L’incendio dell’estate 2025 ha rappresentato una sfida cruciale per il Lacryma Christi del Vesuvio e il Vino DOC Vesuvio. Anche se la maggior parte dei vigneti è stata salvata, le aziende agricole si trovano oggi a dover gestire danni indiretti, come la perdita di terreno fertile, la compromissione della biodiversità e il rallentamento della vendemmia.
Le stime parlano di un impatto economico significativo: Coldiretti e Consorzio Tutela Vini Vesuviani stimano una riduzione della produzione complessiva fino al 15% per questa annata, con conseguenze su export e turismo enogastronomico.
Strategie per la rinascita:
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Ripristino dei vigneti: alcune vigne secolari dovranno essere reimpiantate, con un ciclo di recupero stimato tra 5 e 7 anni.
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Tutela del terroir: interventi per consolidare il suolo e proteggere le coltivazioni dalle frane e dall’erosione.
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Valorizzazione culturale e turistica: promozione di wine tour, degustazioni e percorsi enogastronomici per rafforzare l’identità del Lacryma Christi del Vesuvio come simbolo della resilienza vesuviana.