Ponte sullo Stretto di Messina sì, ma occhio anche ai trasporti locali

Da Trenitalia 7 miliardi per 1.061 convogli per il servizio regionale

«Caro Mimmo, non sono contro il ponte di Messina, ma se voglio andare da Napoli a Matera o a Crotone non posso impiegare 8 ore. Inoltre, spostarsi in Sicilia tra una provincia e l’altra non può equivalere come se da Napoli dovessi andare a Milano. Lo sviluppo del Sud dipende molto dalle infrastrutture regionali. Così la penso. Le risorse per le opere infrastrutturali pubbliche potrebbero essere gestite con più oculatezza per risolvere i problemi di trasporto pubblico». Provate a dargli torto!

Lo ha scritto Michele Pinto, imprenditore e «commendatore della Repubblica per meriti», nominato il 4 novembre 2018 dal presidente Mattarella, rispondendo alla mia riflessione della settimana scorsa sul «no» – secondo me soltanto ideologico – della sinistra alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.

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Michele, sono d’accordo con te, ma non bisogna dimenticare che le infrastrutture ferroviarie regionali sono realizzate e gestite principalmente da RFI, società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, e da enti di gestione ferroviaria regionali. RFI si occupa della gestione della rete ferroviaria nazionale, mentre gli enti regionali gestiscono le linee ferroviarie di loro competenza, spesso di carattere regionale o locale. E devo aggiungere di essere d’accordo anche sull’opportunità che una maggiore oculatezza nell’utilizzo delle «risorse pubbliche risolverebbe i problemi del trasporto pubblico».

Ma attenti: una cosa è il Ponte sullo Stretto, tutt’altra sono le infrastrutture ferroviarie regionali e locali e la realizzazione dell’uno (Ponte) non è subordinata o prioritaria rispetto alle altre, e neanche viceversa. Tanto più, riconosciamolo con franchezza e senza infingimenti, nei decenni passati per lo sviluppo italiano sono state investite risorse ingentissime ma alla luce dei risultati ottenuti quelle destinate al Sud sono state oggetto di dibattiti, polemiche e analisi.

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Il divario Nord-Sud e la sfida della Zes unica

Sebbene non esista una singola percentuale precisa che riassuma l’intera questione, è noto però che, a fronte di una legge del 1950 che destinava annualmente agli investimenti per lo sviluppo del territorio al di sotto della riva destra del Garigliano il 40% del Pil italiano, nel Sud è sempre arrivato solo il 5%, e questo soprattutto attraverso interventi speciali e politiche di coesione territoriale. Il che ha fatto sì che il divario economico tra Nord e Sud non solo restasse inalterato, ma spesso addirittura finisse per peggiorare ulteriormente, sollevando di conseguenza, e giustamente, interrogativi e perplessità sull’efficacia di tali interventi.

Ma ora l’istituzione della Zona Economica Speciale unica rappresenta un’occasione in più offerta al rilancio e alla realizzazione di quelle opere indispensabili per la crescita dell’Italia del Tacco. La Zes unica, infatti, è un’area agevolata che comprende tutte le regioni del Mezzogiorno d’Italia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), il cui obiettivo principale è incentivare gli investimenti produttivi attraverso agevolazioni fiscali e burocratiche.

Le imprese che operano all’interno dell’area possono beneficiare di un credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nuovi, macchinari, impianti e attrezzature, terreni e immobili strumentali. Si tratta, insomma, di un’importante opportunità in più per le imprese meridionali, offrendo loro agevolazioni fiscali e burocratiche per incentivare gli investimenti produttivi e promuovere lo sviluppo economico dell’area. E, alla luce dei dati ufficiali Istat e Svimez, da due anni a questa parte il Mezzogiorno da vagone di coda è diventato locomotiva d’Italia, crescendo più del Nord. Attenzione, però: dal prossimo anno la stessa Svimez sottolinea il rischio di un nuovo ritorno a una crescita più stentata del Sud rispetto al resto del Paese (+0,7 rispetto a +1,0).

Pnrr, investimenti e prospettive per il Sud

Se è questo il rischio, però, per sventarlo basterà realizzare i progetti già in itinere. Per il Sud gli investimenti del Pnrr in via di definizione valgono mediamente l’1,8% del Pil meridionale, mentre quelli del Centro-Nord l’1,6%, ovvero ancora uno 0,2% in più a vantaggio dell’Italia al di sotto del Garigliano. Basterà, quindi, essere in grado di realizzarli come siamo riusciti a fare finora e il nostro Pil continuerà a crescere, anziché arretrare come vorrebbero le «ciucciuettole» del Centro-Nord, e realizzare le infrastrutture ferroviarie e di viabilità indispensabili ad «accorciare» le distanze fra le regioni e i comuni meridionali.

Tanto più che – proprio in tema di infrastrutture ferroviarie – si parla di un piano «timbrato» Trenitalia di 7 miliardi per 1.061 convogli di nuova generazione onde rilanciare il servizio regionale entro il 2027. Sarebbe allora il caso di affiancare alla Zes unica, un’Autority per il Sud, da me già proposta nel saggio «Buio a Sud» edito da «Il Cerchio» nel 2005, con compiti operativi in termini progettuali e di controllo della realizzazione, per evitare – come già successo – che progetti in itinere possano fermarsi per mancanza di fondi stanziati, interamente in avvio ma poi dispersi per strada, lasciando al posto dell’opera attesa l’ennesimo monumento all’incompiutezza.

Setaro

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