La città degli astri: Napoli riscopre l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte

Nel cuore vibrante di Napoli, tra il verde del Real Bosco e l’eleganza sobria delle architetture neoclassiche, si erge un edificio che guarda le stelle da oltre due secoli: l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Oggi molti napoletani ne conoscono a malapena l’esistenza, eppure questo luogo è stato per anni uno dei fari della scienza borbonica, quella stagione luminosa in cui Napoli non era solo capitale di un regno, ma anche capitale del pensiero scientifico europeo.

Mentre altrove si parlava di rivoluzioni industriali, qui si costruivano telescopi, si tracciavano le orbite dei pianeti, si misurava il tempo. Era la Napoli di astronomi, matematici e geografi che, sotto l’egida dei Borbone, alzavano gli occhi al cielo per comprendere la Terra. Ecco perché riscoprire oggi l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte significa anche riappropriarsi di un’identità dimenticata: quella di una città moderna, curiosa, capace di fondere arte e scienza come poche altre capitali al mondo.

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Origini borboniche e l’alba della scienza borbonica

La storia dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte comincia nel pieno dell’età illuminata, quando i Borbone vollero trasformare Napoli in una città al passo coi tempi europei. La spinta decisiva arrivò da Carlo di Borbone, che nel 1735 istituì la cattedra di astronomia e navigazione all’Università degli Studi di Napoli. Era il seme della futura scienza borbonica, un sapere che mirava a fondere utilità militare, progresso tecnico e passione per la conoscenza pura.

Ma fu nel 1812, durante il regno di Gioacchino Murat, che il sogno prese forma concreta con la costruzione di un osservatorio sul colle di Miradois, scelto per la sua posizione sopraelevata e priva d’inquinamento luminoso. Il progetto fu affidato all’architetto Stefano Gasse, che concepì l’edificio in uno stile sobrio ma monumentale, mentre la parte scientifica fu curata dall’astronomo Federigo Zuccari, convinto che Napoli meritasse un centro astronomico all’altezza di quelli di Parigi e Greenwich.

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L’inaugurazione ufficiale avvenne il 17 dicembre 1819, sotto Ferdinando I di Borbone, e segnò l’ingresso ufficiale del Regno delle Due Sicilie nella moderna astronomia europea. Da quel momento, la scienza borbonica cominciò a parlare anche il linguaggio delle stelle: osservazioni planetarie, calcoli sul moto delle comete, strumenti di precisione progettati a Napoli e pubblicazioni in latino che giravano tra le accademie d’Europa.

L’Osservatorio Astronomico di Capodimonte: tra ricerca, strumenti e memoria scientifica

L’Osservatorio Astronomico di Capodimonte non fu solo un’impresa architettonica o simbolica: sin dal primo giorno fu concepito come un laboratorio vivo, destinato alla misurazione precisa dei fenomeni celesti. Grazie alla lungimiranza della corte borbonica, che vi investì mezzi e menti eccellenti, l’osservatorio fu dotato fin da subito di strumenti d’avanguardia, alcuni progettati e costruiti proprio a Napoli, altri importati dalle officine più avanzate d’Europa.

Uno dei primi direttori, Carlo Brioschi, fu tra i primi a misurare con precisione le longitudini astronomiche dell’Italia meridionale, mentre Ernesto Capocci, direttore nel 1833, fu un fervente divulgatore della scienza borbonica: scrisse testi che univano rigore matematico e immaginazione scientifica, fino a ipotizzare un viaggio sulla Luna.

Oggi l’osservatorio ospita il MuSA – Museo degli Strumenti Astronomici, un vero scrigno della memoria scientifica. Tra cannocchiali ottocenteschi, sestanti, cronometri e teodoliti, è ancora possibile percepire lo spirito pionieristico della scienza borbonica, che non aveva nulla da invidiare a quella francese o inglese del tempo. La biblioteca storica, che conserva oltre 20.000 volumi, è un’altra testimonianza tangibile di quel fervore intellettuale: mappe stellari, trattati di meccanica celeste, manoscritti autografi di scienziati napoletani.

L’Osservatorio Astronomico di Capodimonte fu per decenni anche un centro di formazione: giovani studenti napoletani venivano qui per imparare non solo l’astronomia teorica, ma anche le tecniche pratiche di osservazione e calcolo. In quel luogo, la scienza borbonica non era un’astrazione: era mestiere, dedizione, passione civile.

Napoli e la rinascita della scienza borbonica

Per troppo tempo l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte è rimasto fuori dai circuiti culturali della città. Lontano dai flussi turistici, isolato persino nella memoria collettiva dei napoletani, è sembrato per decenni un gigante addormentato, una cattedrale del cielo dimenticata. Ma qualcosa sta cambiando. Negli ultimi anni, l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) ha avviato un processo virtuoso di recupero, valorizzazione e divulgazione.

Oggi, grazie al lavoro di astronomi, archivisti e divulgatori, l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte è tornato a vivere. Non solo come centro di ricerca all’avanguardia, che partecipa a progetti internazionali di studio delle galassie, dell’energia oscura e degli esopianeti, ma anche come presidio culturale. Il calendario di eventi è sempre più ricco: osservazioni pubbliche del cielo, laboratori per bambini, mostre storiche e incontri di astronomia aperti a tutti.

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