La sinistra esulta e non sente la puzza di regime giudiziario che emana questa scelta
Ancora un puntello magico alla lotta delle toghe rosse italiote, in vista del referendum per la riforma della giustizia: l’irruzione a gamba tesa degli eurogiudici contro i centri per migranti europei in Albania e la lista dei Paesi sicuri definita dall’Italia. La Corte di Giustizia europea, infatti, ha «stabilito» motu proprio che l’indicazione relativa (ovviamente fonte Ong e social) deve venire da loro e non dai governi.
Il che, da un lato, azzoppa la lotta contro scafisti e trafficanti di esseri umani, dall’altro conferma che la politica sta perdendo spazio, diventando soltanto marginale. La sinistra esulta senza rendersi conto della gran puzza di regime giudiziario che emana da questa decisione. Ma nessun passo indietro sui centri in Albania, assicura il ministro Piantedosi.
La stampa internazionale incorona Meloni
Per il «Time», settimanale USA, la Meloni è «un leader il cui stile di governo può cambiare il mondo»; lo statunitense «The Hill» l’ha paragonata alla Lady di Ferro Margaret Thatcher, «partner forte e competitivo della Stanza Ovale»; e il settimanale francese «Le Point» la segnala come «un’acrobata» in grado di far prevalere il proprio «pragmatismo». E, per un Paese che per essersi affidato alla leader della destra doveva ritrovarsi isolato in Europa e nel mondo, è un gran bel risultato.
Soprattutto se a dirlo sono tre organi internazionali d’informazione fra i più significativi del mondo – e non i soli, né i primi. Li avevano preceduti, infatti, il francese «Le Monde», il quotidiano USA «Politico», il settimanale in lingua inglese «The Economist», la copertina di «Valeurs Actuelles», settimanale conservatore francese, che l’ha incoronata «regina d’Europa», e infine è arrivata la copertina di «The Times», che l’ha dipinta come «prima leader italiana seria».
Un consenso che cresce in Italia nonostante gli attacchi
Tutto ciò a dimostrazione di quanto sia diversa la considerazione che la premier Meloni gode all’estero, fra giornali che continuano a sottolinearne la «centralità» in Europa e la «capacità» di «tenere unito l’Occidente», rispetto all’Italia, dove – più conquista spazio oltre confine e, a tre anni dalla sua elezione, anziché veder diminuire (come è sempre successo nella storia del Belpaese) il proprio consenso fra gli elettori – lo vede crescere.
A confermarlo, Demopolis di Pietro Vento, sia a livello di partito che personale (4 punti in più rispetto al 2022 per entrambi), 8 punti in più del PD (22,5), e addirittura 18,2 sul M5S fermo al 12. Pari Forza Italia e Lega all’8,8, e al 6,3 AVS. Più viene aggredita, insomma, dalla stampa mainstream italiota che gliene dice di tutti i colori, più cresce nella stima degli italiani. «Il (dis)Fatto Quotidiano» ha addirittura definito i suoi elettori «rettiliniani», ovvero gente con il cervello piccolo come i rettili, che vota per impulso primitivo e non per convinzione.
Dazi USA-UE e l’ennesima ipocrisia della sinistra
Mi chiedo se c’è qualcuno che non ricorda con quanta veemenza, durante le pre-trattative con Trump per la definizione dei dazi USA-UE, i lorsignori di sinistra hanno preteso che a trattare con il tycoon fosse soltanto la von der Leyen, a nome dell’UE. Ora, però, se la prendono con Giorgia per una sconfitta cui non ha partecipato. Ma che poi non è neanche così catastrofica, come vorrebbero far credere. Il Centro Studi di Unimpresa, alla luce dei settori coinvolti, fa sapere che «l’economia italiana ne risentirà in misura decisamente limitata», e il presidente dell’Unione Industriali di Napoli, Iannotti Pecci, nei giorni scorsi ha ribadito che «l’intesa UE-USA evita il rischio di dazi al 30%».
E intanto che i signori progressisti nostrani, senza un minimo di ritegno per le proprie colpe, cominciano ad accarezzare l’idea di liberarsi della commissaria europea – che svela che l’accordo non è vincolante e, quindi, vale come «un cavolo a merenda» – la Meloni e altri 10 Paesi UE hanno inviato alla Commissione una nuova proposta quadro (che dovrebbe essere operativa dal 1° gennaio 2026) di protezione commerciale contro la sovracapacità siderurgica. Per la quale servirebbero almeno 25 miliardi di euro, che qualcuno pensa di stornare dai fondi europei o dal PNRR.
Stipendi pubblici, Consulta e tempismo sospetto
Il che, per dirla in maniera spicciola, significa che l’accordo fra USA e UE sui dazi è ancora di là da venire. Fortuna che – come fa notare la Farnesina – l’Italia, per quanto attiene l’export verso gli USA, può fare affidamento sul fatto che i beni da lei esportati, coprendo nicchie di qualità (auto, lusso, olio d’oliva, ecc.), non sono sostituibili con produzioni interne e potranno subirne meno contraccolpi. Vedremo!
Basta tetto agli stipendi pubblici. Una decisione legittima, quella della Consulta, che ha deciso di cancellare il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici, fissato in 240.000 euro annui dal governo Renzi nel 2014 (poi rivalutato a 255.000), ma che – a due passi dal referendum sulla riforma della giustizia, forse finalizzata a far ritrovare l’unità all’ANM spaccata per il buco nei conti di 590.000 euro già «investiti» nella campagna elettorale anti-riforma – appare un attimino inopportuna.
Tanto più che i maggiori beneficiari ne saranno proprio i magistrati, i cui stipendi dovranno essere, stando alla norma Monti del 2011, equiparati a quello del Primo Presidente di Cassazione (311.658,23 euro), tra l’altro in attesa di rinnovo e, quindi, destinato a crescere. Oltretutto, di superamento del tetto agli stipendi pubblici aveva già parlato nel 2024 il ministro della PA, Zangrillo.