Potrebbe dipendere da una contaminazione di chi lo ha toccato
Dal tampone orale di Chiara Poggi, prelevato 18 anni fa e analizzato soltanto ora nel corso dell’incidente probatorio, sarebbe stata individuata una minima quantità di dna maschile appartenente ad un uomo non ancora identificato e, dunque, non riconducibile né ad Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della ragazza, né ad Andrea Sempio, indagato nella nuova indagine della procura di Pavia.
Da quanto è stato riferito da consulenti delle parti il dato grezzo su uno dei tamponi della ragazza, uccisa il 13 agosto 2007, a Garlasco, è stato trasmesso da Denise Albani, la genetista incaricata dalla gip pavese Daniela Garlaschelli di effettuare gli accertamenti tecnici irripetibili. Dato di una prima estrazione e che parla di un profilo genetico Y ma in una ridottissima quantità, il che potrebbe anche essere dovuto a una ‘contaminazione’, di chi ha maneggiato per esempio la garza con cui all’epoca venne prelevato il materiale.
C’è infatti chi pensa che tale Dna possa appartenere a un «inquinamento» dell’assistente di Dario Ballardini, il medico legale che allora fece l’esame autoptico e i tamponi. Pertanto va approfondito con ulteriori analisi per verificare se ci siano esiti tali da poter avere davvero un profilo utile e confrontabile. «È troppo presto per tirare delle conclusioni – si limita a dire Dario Readaelli, uno degli esperti nominati dai Poggi -. E’ come se dalla prima stringa di una equazione complessa si ritenesse già di conoscere il risultato finale».
Le divergenze tra Procura e difesa
Dunque, anche se questo potrebbe fare ipotizzare una svolta nelle indagini sul delitto, al momento ci sono, da parte di alcuni, dubbi che si possa parlare con certezza della presenza di un uomo ignoto nella villetta di via Pascoli. Cosa che invece ipotizzano i pm di Pavia, guidati dal procuratore Fabio Napoleone, e i carabinieri del nucleo investigativo di Milano come emerge dal capo di incolpazione: per loro Sempio avrebbe agito in concorso con altri.
«Non ci sono dna di soggetti sconosciuti sulla scena del crimine e ovviamente tanto meno sul corpo di Chiara», ha commentato Gian Luigi Tizzoni, il legale dei genitori di Chiara. Per l’avvocato, è «un dato che per quanto possiamo sapere è totalmente destituito da qualsiasi fondamento e che ancora una volta denota come, in assenza di riscontri oggettivi alternativi alla verità processuale accertata e che ha individuato Stasi quale responsabile, prospetta ipotesi infondate».
Accertamenti ancora in corso sui reperti
Oltre a questo, tra quelle residue e che sono state campionate per ultime da Denise Albani, incaricata dalla giudice assieme al collega dattiloscopista Domenico Marchigian, ci sono altre tracce su cui andranno effettuati altri approfondimenti. Finora sul frammento del tappetino e sui tamponi a lei prelevati è stati isolato solo il suo Dna, mentre dal segmento pilifero trovato nei rifiuti non è stato possibile ricavare alcunché.
Sempre riguardo all’incidente probatorio, la macchia, cosiddetta ipotenare, presente sull’impronta 33, quella ormai nota repertata sul muro delle scale verso la cantina dove fu trovato il corpo giovane, sostengono Luciano Garofano e Luigi Bisogno, consulenti di Sempio, è una manifestazione fisiologica di contatto per accumulo di sudore, non una traccia di sangue. È di Stasi invece, il profilo isolato sulla cannuccia dell’Estathè, uno dei reperti della spazzatura mai analizzati.
Invece, non c’è ancora un programma, con tempi e modalità, per quello che sarà il cuore del maxi accertamento, su cui puntano tutto i pm, ovvero l’analisi dei due profili genetici sui «margini ungueali» di Chiara, di cui uno attribuito a Sempio da una consulenza della Procura, seguita a quella della difesa Stasi. Si sa che i due periti della gip hanno chiesto il materiale, come i dati grezzi e le schede di lavoro, al prof De Stefano, che ai tempi del processo d’appello bis a Stasi aveva ritenuto non fosse sufficiente