Dazi Usa-Ue, accordo vicino ma non indolore: niente esenzioni sui settori chiave

Il compromesso si fermerà con tutta probabilità attorno al 10%

Questa volta l’accordo sembra a un passo. «Entro due giorni», promette Donald Trump. Ma non sarà indolore. Niente dazi zero, come auspicava l’Europa: nella lettera che l’inquilino della Casa Bianca si prepara a firmare, il compromesso si fermerà con tutta probabilità attorno al 10%. Quanto basta per una prima intesa di principio che, ancora da perfezionare, non scioglie il nodo dei settori strategici su cui il continente vorrebbe strappare esenzioni e il tycoon, al contrario, rilancia.

«L’Ue ora ci sta trattando molto bene», ha osservato durante una riunione di governo, riferendo dei contatti diretti con Ursula von der Leyen. Ma il patto alle porte non cancellerebbe le tariffe già in vigore su acciaio, alluminio e automotive. Un quadro che, aggravato dall’ulteriore incertezza portata dalla nuova spirale di misure reciproche, ha riacceso le tensioni nei Ventisette, spingendo Berlino ad alzare la voce: l’intesa, ha avvertito il ministro delle Finanze Lars Klingbeil al Bundestag, «dovrà essere equa». In caso contrario, «le contromisure sono pronte».

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All’indomani della prima raffica di tariffe tra il 25 e il 40% – operative dal primo agosto – per i Paesi come il Giappone ritenuti non collaborativi, Trump ha rivendicato «i 100 miliardi di dollari già incassati» negli ultimi novanta giorni grazie ai dazi, assicurando di «non aver ancora cominciato». E infatti – sprezzante anche delle critiche giunte del board editoriale del Wall Street Journal che ha bollato i dazi come «tasse arbitrarie, nemiche della crescita» – ha tirato dritto annunciando altre lettere in arrivo a stretto giro.

Gli avvertimenti non si fermano

Sul rame pende l’ipotesi di una tariffa al 50%, mentre per i prodotti farmaceutici il tycoon ha agitato lo spettro di un’aliquota monstre del 200%, pronta a entrare in vigore entro un anno. L’Ue, ha indicato il segretario al Commercio Howard Lutnick, ha preparato delle «vere offerte» e ha «indicato che aprirà il suo mercato». Ora sarà il presidente americano a decidere «come usarle».

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Le reazioni in Europa

Un’imprevedibilità che alimenta i malumori tra i Ventisette, allarmati per la mancanza di aperture chiare ad esenzioni sui comparti chiave: dal pilastro tedesco dall’automotive ai metalli industriali, passando per legname e agroalimentare, punto nevralgico per Italia e Francia. Tanto che tra le istituzioni Ue il fugace sollievo per la proroga negoziale fino al primo agosto si è presto trasformato in nuova inquietudine.

Il compromesso con Washington, ha spiegato a porte chiuse il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, agli eurodeputati socialisti riuniti a Strasburgo – e già in pressing nell’invocare la rappresaglia europea contro «il bullismo americano» – sarà un’intesa di principio ancora lontana da una definizione completa.

I dettagli legali e le clausole settoriali restano sospesi, da negoziare passo dopo passo in un coordinamento stretto tra Bruxelles e le capitali, con i contatti che sull’asse Roma-Berlino-Parigi si sono intensificati. Senza dimenticare, si ripete a Palazzo Berlaymont, che le contromisure in caso di ‘no deal’ sono sul tavolo e pronte a colpire i prodotti simbolo del made in Usa per un valore intorno ai 120 miliardi di euro.

Il riposizionamento globale

Accanto, resta aperta la strategia del riposizionamento globale. A partire dal confronto con Pechino su nuove basi. Siamo pronti a scrivere un nuovo capitolo nelle relazioni con la Cina», ha evidenziato von der Leyen davanti alla plenaria evocando la necessità di riequilibrare i rapporti economici, ridurre le dipendenze strategiche e rafforzare il dialogo su dossier globali, dal clima alla sicurezza.

La diversificazione commerciale si estende a Mercosur, India, Australia, Thailandia, Indonesia, Messico ed Emirati Arabi: tutte intese tornate ormai da mesi in cima all’agenda di Bruxelles e che, nelle cifre offerte da Sefcovic, se si chiuderanno positivamente potranno «compensare fino a tre quarti delle perdite legate agli Stati Uniti».

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