Settimana cruciale per l’ex Ilva: nodo risorse, i sindacati chiedono maggiori fondi

La richiesta: Stato intervenga per mettere in sicurezza gli impianti

L’ex Ilva è ferma, ma il tempo corre. E rischia di schiacciare sotto il peso dell’incertezza il destino di migliaia di lavoratori. È un’altra settimana cruciale per il futuro della fabbrica. Domani, martedì 8 luglio, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, andrà in scena una riunione a oltranza con tutte le amministrazioni coinvolte nell’Accordo di programma interistituzionale.

Ma i sindacati lanciano l’allarme: «Senza continuità produttiva non potrà esserci nessuna decarbonizzazione». Fim, Fiom e Uilm mettono nero su bianco le loro preoccupazioni in un comunicato che sa di ultimatum. Il tema centrale, dicono, è la sopravvivenza degli impianti dell’ex Ilva, oggi gravemente compromessa.

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L’incidente all’Altoforno 1, la mancata ripartenza dell’Afo2, i problemi all’Afo4, eredità della precedente gestione, e l’assenza di un piano finanziario credibile pongono una domanda urgente: come evitare il collasso definitivo? «Serve un intervento dello Stato per mettere in sicurezza gli impianti e garantire una marcia sostenibile, in particolare su altiforni e acciaierie», scrivono, sottolineando come l’Accordo di programma e il processo di decarbonizzazione non possano prescindere da una produzione stabile.

E non basta, secondo i sindacati, lo stanziamento di 200 milioni previsto dal decreto in fase di conversione: la cifra è giudicata insufficiente per rimettere in moto gli impianti e avviare un percorso credibile verso l’obiettivo delle sei milioni di tonnellate annue fissato per il 2026. «Non si può basare tutto sulla speranza che l’unico altoforno in funzione non si fermi irrimediabilmente», ammoniscono.

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Ex Ilva, la partita politica si complica

Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha ribadito che l’adesione all’Accordo di programma per l’ex Ilva sarà condizionata: «Sì all’accordo, ma alle nostre condizioni». Intanto, il ministro Adolfo Urso ha avuto due «lunghi e cordiali» colloqui telefonici con l’arcivescovo di Taranto, monsignor Ciro Miniero, e con l’arcivescovo metropolita di Genova, Marco Tasca, per discutere delle prospettive degli stabilimenti siderurgici nelle due regioni.

Il ministro, spiega una nota, ha illustrato alle autorità ecclesiastiche il piano di decarbonizzazione già presentato agli enti locali, sottolineando l’impegno del governo per garantire «i più alti standard di sicurezza sanitaria e ambientale» e il mantenimento degli attuali livelli occupazionali.

L’incontro con i sindacati

Per oggi è stato convocato, sempre dal ministro Urso, un incontro con i sindacati, insieme alla ministra del Lavoro Calderone, per fare il punto sulla crisi. L’esame formale della richiesta di cassa integrazione straordinaria che riguarda 4.050 dipendenti, di cui 3.500 nel solo stabilimento di dell’ex Ilva di Taranto, era già stato posticipato al 14 luglio. «Dopo 13 anni di sacrifici – avvertono Fim, Fiom e Uilm – non accetteremo una nuova crisi ambientale, sociale e occupazionale. La decarbonizzazione deve partire da Taranto, ma servono basi solide, a partire dall’intervento dello Stato per consentire la continuità produttiva».

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