Ergastolo Impagnatiello, la rabbia della famiglia di Giulia: «Vergogna una legge che chiude gli occhi»

La sorella contesta l’esclusione della premeditazione

Confermato l’ergastolo, ma esclusa l’aggravante della premeditazione. Si è chiuso cosi, dopo mezza giornata di udienza e due ore di camera di consiglio, il processo d’appello a carico di Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano, la fidanzata incinta di sette mesi uccisa nel 2023.

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Una decisione che ha fatto esplodere la rabbia dei familiari della vittima: «Vergogna, vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto», ha scritto su Instagram la sorella Chiara dopo la sentenza. «L’ha avvelenata per sei mesi. Ha cercato su internet: ‘Quanto veleno serve per uccidere una donna’. Poi l’ha uccisa. Per lo Stato, supremo legislatore, non è premeditazione», aggiunge. «Vergogna a una legge che chiude gli occhi davanti alla verità e uccide due volte. E smettetela di portare gli assassini ai banchi. Sono assassini. Vanno in cella. Nessuno li vuole liberi, inquinano».

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L’ex barman sedeva infatti in prima fila accanto alla sua legale Giulia Geradini. Dietro di lui, i genitori di Giulia, la madre Loredana Femiano e il padre Franco Tramontano, parti civili con il legale Giovanni Cacciapuoti. Alla lettura del dispositivo, i familiari hanno tenuto davanti sul banco una piccola immagine di Giulia. Poi hanno pianto. Impagnatiello è rimasto invece impassibile.

La premeditazione

A suscitare sorpresa nella maxi aula della Corte di Assise di Appello di Milano è stata proprio l’esclusione della premeditazione, rigettata dalla gip Angela Minerva ai tempi della convalida del fermo e riconosciuta poi dai giudici del primo grado.

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Nelle motivazioni della sentenza si leggeva, in particolare, che Impagnatiello aveva pianificato il delitto per almeno 6 mesi, somministrando alla compagna del veleno per topi a sua insaputa, sul quale aveva iniziato a fare ricerche online a partire dal dicembre 2022. Il 27 maggio dell’anno successivo l’aveva poi colpita con 37 coltellate nella loro abitazione a Senago, nel Milanese, appena poche ore dopo la scoperta da parte della compagna di una relazione parallela che Impagnatiello portava avanti da mesi con una collega.

L’ex barman, come ha sottolineato anche la sostituta procuratrice generale di Milano Maria Pia Gualtieri nella sua requisitoria, «ha ucciso quando è stato sbugiardato definitivamente. Ha atteso il momento favorevole». La pg, ricordando la «enorme la quantità di bugie» che il 32enne ha detto, ha chiesto per lui la conferma della pena massima.

La difesa

La difesa aveva proposto invece di escludere le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, ribadendo più volte la condotta «maldestra» e in alcuni casi addirittura «autosabotante» dell’ex barman dopo l’omicidio. Una serie di comportamenti che dimostrerebbero come il delitto non fosse stato premeditato.

Le richieste difensive, in parte accolte, non hanno comunque evitato l’ergastolo a Impagnatiello, al quale non sono state riconosciute le attenuanti generiche e che deve rispondere anche dell’aggravante del vincolo di convivenza con la vittima. La Corte di Assise d’appello di Milano si è infine riservata sulla richiesta di ammetterlo a un percorso di giustizia riparativa. La sostituta procuratrice generale e il legale di parte civile si erano opposti.

«Non si tratta di vittoria o sconfitta – ha commentato l’avvocatessa Geradini al termine del processo – perché penso che questo processo sia una sconfitta generale. Ma il fatto che la Corte abbia ascoltato in parte le mie ragioni mi rende soddisfatta. Sono curiosa di leggere le motivazioni».

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