Ex Ilva, il Mimit presenta l’accordo di programma interistituzionale ma restano le incognite

Il documento predisposto insieme al Ministero dell’Ambiente

Un’intesa «urgente e imprescindibile» per tenere accese le luci sull’ex Ilva. È così che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy definisce l’accordo di programma interistituzionale predisposto insieme al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, tappa fondamentale per ottenere la nuova Autorizzazione integrata ambientale e avviare il percorso di piena decarbonizzazione dell’acciaieria di Taranto.

Un passaggio chiave in una delle fasi più delicate per lo stabilimento, fermo a un solo altoforno (il numero 4) e a una sola acciaieria (la 1), scenario che ha già innescato una nuova impennata nella richiesta di cassa integrazione.

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Procedura distinta e continuità produttiva

Il Mimit chiarisce che si tratta di una procedura distinta dall’accordo di programma ex art. 252-bis del Codice dell’Ambiente, che potrà essere attivato solo in un secondo momento, con un progetto industriale concreto e l’ingresso di un investitore. In considerazione del giudizio pendente al Tribunale di Milano, l’accordo interistituzionale è ora lo strumento per garantire continuità produttiva e rispetto degli impegni ambientali.

Nel frattempo è stato fissato per martedì 25 giugno alle ore 11 il confronto tra il Ministero del Lavoro e i sindacati, in presenza e da remoto, per discutere la nuova richiesta di cassa integrazione presentata da Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. La domanda punta a estendere la Cigs da 3.062 a 4.050 lavoratori, con un impatto significativo su Taranto, dove il provvedimento coinvolgerebbe 3.500 dipendenti.

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L’incontro tra Urso e il sindaco Bitetti

Mercoledì il ministro Adolfo Urso ha illustrato al nuovo sindaco di Taranto, Piero Bitetti, la bozza dell’accordo (ai sensi dell’art. 29-quater del D.Lgs. 152/2006), che definisce i pilastri del piano per la transizione dell’impianto verso la produzione green. Il documento individua quattro scenari tra il 2026 e il 2039, con una produzione stabile a 6 milioni di tonnellate l’anno e un graduale passaggio dagli altiforni ai forni elettrici alimentati da preridotto (DRI), affiancati da sistemi per la cattura e lo stoccaggio della CO2. Bitetti, pur aprendo al confronto, ha espresso perplessità su un piano «privo di solide garanzie economiche e ambientali e di qualsiasi riferimento all’utilizzo di fonti rinnovabili».

Le infrastrutture strategiche previste dal governo

Per supportare la transizione industriale, il governo prevede infrastrutture strategiche: una nave rigassificatrice ormeggiata al porto di Taranto con una capacità annua di 1 miliardo di metri cubi di metano, un gasdotto di 9 chilometri che collegherà il terminal agli impianti e un impianto galleggiante di desalinizzazione in grado di produrre 110mila metri cubi d’acqua al giorno, necessario anche in caso di siccità o crisi idriche.

Il nodo degli investitori e dell’Aia

La partita resta aperta sul fronte degli investitori, con Baku Steel in prima fila, seguito da Jindal e Bedrock. Ma il nodo resta l’Aia: senza autorizzazione ambientale, non si possono chiudere intese né trasferire asset, alcuni dei quali ancora sotto sequestro giudiziario. La situazione è sempre più difficile da decifrare: c’è preoccupazione tra gli operai e i sindacati continuano a invocare la nazionalizzazione della fabbrica. «Altrimenti, il destino – ha avvertito il leader della Uilm Rocco Palombella – è infausto, già segnato».

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