Lavoro e remigrazione, Landini e Cassazione invocano l’Ue contro l’Italia

Regionali s’avvicinano, cdx la smetta con i nomi e parli del da farsi

Alla chiusura delle urne per le ultime amministrative di sette giorni fa, la Schlein si è esibita in due gorgheggi degni dell’«Elogio della follia» di Erasmo da Rotterdam: «uniti vinciamo, gli altri guardano solo i sondaggi» e «o diventerò premier o faccio la regista al cinema» (spero non con i fondi della legge Franceschini per il cinema del 2016, che ci è già costata 7,2 miliardi in 8 anni). E dopo, l’approvazione del dl «sicurezza», ne ha «stridato» un terzo: «ci portate più indietro del codice Rocco».

L’euforia della minivittoria le ha fatto perdere di vista che questa unità, a livello nazionale, è poco meno di una chimera. Le fratture fra loro sono troppe e insanabili. Sia lei che Giuseppi mirano alla premiership e Landini al Nazareno. Tant’è che il 6 e il 7 giugno Pd, 5S e Avs da un lato e Iv e Azione dall’altro scenderanno in piazza contro il decreto Sicurezza e per parlare di pace, ma si faranno la guerra, mettendo a rischio la sicurezza. Non basta, quindi, dire che Meloni fa propaganda, per stringersi in un abbraccio.

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Un voto locale, non politico

Purtroppo, per lei, quello di domenica scorsa è stato un voto assolutamente nella norma e non lascia presagire alcun recupero Pd. Da sempre in Italia, quello locale non è figlio della politica e dei risultati conseguiti dal governo e della politica portata avanti, ma il prodotto del clientelismo e dei diritti generali che il localismo trasforma in piaceri spiccioli per gli amici in cambio di una croce sulla scheda al momento opportuno. Il centrodestra a questo gioco non sa giocare e non riesce mai, o quasi, a trovare i candidati giusti per vincerle. Era così anche negli anni della Prima Repubblica!

Già domenica prossima, ci sarà l’appuntamento con le urne più significativo dal punto di vista della valutazione dell’attività di governo da parte dei cittadini: i referendum. E qui lorsignori, oltreché col «sì» e il «no», dovranno vedersela con un terzo problema: il quorum. Trattandosi, infatti, di referendum abrogativi, perché il risultato sia valido bisognerà che voti almeno il 50%+1 degli aventi diritto, il che non sarà certo facile. Negli ultimi trent’anni, infatti, solo 2 consultazioni abrogrative su 10 hanno centrato tale obiettivo.

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Gli equilibri politici restano immutati

L’opposizione, insieme agli amici dei media mainstream, insomma, sa benissimo che il risultato di queste amministrative possono continuare a venderselo come e per quanto vogliono, ma gli equilibri politici nazionali non sono cambiati dopo domenica. Potranno avere, forse, qualche leggero sobbalzo dopo il referendum, ma probabilmente sempre a favore della maggioranza e, nel complesso, tutto resterà tale e quale.

Il centrodestra governa 14 regioni su 20, mentre delle 5 in cui si voterà in autunno (2 sono a guida centrodestra e 3 centrosinistra). E stando ai sondaggi, la maggioranza gode ancora ottima salute. Per cui quel 14 a 6 attuale potrebbe al massimo ridimensionarsi a 12 a 8, ma sempre a suo vantaggio e con i numeri in Parlamento a suo favore.

Gli italiani approvano la linea del governo

Come ha dimostrato il sondaggio di Noto per il Tempo – all’indomani dell’approvazione del dl sicurezza – mentre la sinistra si è divisa in pro e contro, quasi il 90% degli italiani – compresi gli elettori di sinistra, quindi – è d’accordo con il governo. A conferma il flop del comizio pro referendum della segretaria del Pd a Firenze, dove Elly ha trovato appena una settantina di persone ad ascoltarla.

Pil, spread e occupazione: i numeri danno ragione a Meloni

La fiducia nella premier Meloni non solo è intonsa, ma è addirittura cresciuta, anche oltreconfine, e il governo resta ancora il più stabile d’Europa. E considerando i numeri a sua disposizione in Parlamento, manco una débâcle alle regionali potrebbe scalfirlo.

Tanto più che, alla luce dei dati ufficiali certificati dall’Istat per il primo trimestre 2025: Pil italiano cresciuto dello 0,3% (0,6 su base annua), nella scia della media Ue 0,4 e più di Germania 0,2 e Francia 0,1 (si azzera così il divario del Pil procapite con i transalpini che nel 2020 era del 10,1%) e quelli delle agenzie di rating: Moody’s ha confermato il rating a Baa3 e ha alzato l’outlook da stabile a positivo; Standard & Poor’s lo ha elevato a BBB+ con outlook stabile; Fitch ha confermato il rating a BBB con outlook positivo.

Lo spread tra titoli di Stato italiano e tedesco ha chiuso sotto quota 100 e – nonostante i 7,2 miliardi sprecati per finanziare la produzione di film e 123 miliardi spesi a settembre 2024 e 1,8 da gennaio a marzo 2025 per il bonus edilizio – il Fmi ha promosso il nostro debito pubblico e l’ultima emissione Btp per i piccoli investitori conclusa ieri ha incassato 8,8 miliardi.

A maggio 2025, i dati Istat offrono un tasso di occupazione stabile al 63,0%, mentre quello di disoccupazione è salito al 6,0% (+0,1%), anche se quello giovanile è aumentato al 19,0% (+1,6%); resta invariato, invece, il tasso di inattività: 32,9%. Comunque sarà sempre più difficile far credere agli italiani che si tratti solo di propaganda.

Ponte sullo Stretto e giustizia: l’opposizione si contraddice

Tanto più che la Cgil, sempre più partito e meno sindacato – con grande sprezzo del ridicolo – ha chiesto all’Ue di bloccare la realizzazione del Ponte sullo Stretto, alla faccia dei 120 mila posti di lavoro, dei 13 miliardi di investimenti e degli almeno 2 miliardi annui previsti per la nostra economia.

E la Cassazione smentisce la propria sentenza del 10 maggio e restituisce alla Corte Ue la decisione sul trasferimento negli hub in Albania degli stranieri irregolari in attesa di rimpatrio. Una sentenza scritta praticamente su richiesta e misura di due irregolari con precedenti penali, con il primo arrestato per aver accoltellato il fratello e il secondo per aver picchiato la moglie. L’autunno, però, è vicino: è ora che il centrodestra la smetta di litigare sui nomi dei «papabili» governatori e pensi, piuttosto, a programmare il futuro.

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