La città e i napoletani ridotti a calamite da frigo
È successo davvero. Sulla facciata del Duomo di Napoli, il monumento più amato, più sacro, più riconoscibile della città, sono comparsi adesivi. Non qualche piccolo dettaglio, non una discreta installazione laterale. Adesivi, ovunque. Fotografici, enormi, in bianco e nero. Più che un’installazione, un’imposizione. Una tappezzeria di volti e scene messe in posa come in una fiction, frutto dell’immaginazione (?) di un artista francese che di Napoli, a occhio, ha conosciuto solo i cliché.
Il protagonista dello sfregio al Duomo di Napoli è JR. Uno abituato a lavorare su grandi superfici e grandi palcoscenici. E Napoli, evidentemente, gli è sembrata un palcoscenico buono per tutto. Persino per incollare fotografie di famiglie intere sui motorini senza casco – finte, ricostruite, confezionate in studio – come se questa fosse ancora l’unica narrazione possibile della città. E lo ha fatto non su un muro qualunque, non su un edificio abbandonato, ma sul volto di San Gennaro. Proprio lì, sulla pietra viva della fede e della storia. Il Duomo.
Patrocini e paradossi al Duomo di Napoli
Naturalmente con il patrocinio del Comune di Napoli, naturalmente con il benestare della Curia, naturalmente con l’approvazione della Soprintendenza. La stessa Soprintendenza che se qualcuno propone di mettere una pedana temporanea sugli scogli, per aumentare il mare a disposizione per i napoletani, dice di no perché «disturba il paesaggio».
E invece no, tutti d’accordo, nessuno che abbia avuto un momento di esitazione, un dubbio, un sussulto. Nessuno che si sia fermato a pensare se fosse giusto. Nessuno che si sia chiesto se davvero Napoli avesse bisogno dell’ennesima rappresentazione ridicola, sciatta, grottesca. Perché sì, diciamolo: grottesca. Le famiglie appese ai motorini non fanno sorridere, non commuovono, non rappresentano nulla se non l’idea caricaturale che da decenni cerchiamo di scrollarci di dosso.
Scene false e stereotipi veri sul Duomo di Napoli
E non è un dettaglio che quelle immagini non siano nemmeno reali. Sono ricostruzioni fotografiche, “scene di vita partenopea” ideate – ça va sans dire – da chi partenopeo non è. E così spuntano i cliché con pizzaioli in abbondanza: del resto non si può dire Napoli senza pizza, no? E allora vai coi pizzaioli, moltiplicati, replicati, ridotti a figurine da folklore. Come se fossero l’unica professione possibile, come se Napoli fosse un’unica, eterna cartolina a forma di ruota di mozzarella.
Il Duomo di Napoli è già arte: non serviva altro
E poi, diciamolo chiaramente: non ce n’era alcun bisogno. Il Duomo di Napoli, con la sua architettura e la sua bellezza, è già arte di per sé. Non occorreva deturparlo con adesivi e fotografie finto-veriste per elevarne il valore simbolico. Se davvero si voleva dare spazio all’artista francese, bastava allestire qualche pannello di polistirolo accanto alla cattedrale, in uno spazio attiguo, ma non sulla facciata stessa. Non sul Duomo. Perché una cosa è dialogare con l’arte, un’altra è calpestarla.
L’invasione dell’«arte internazionale»
Che poi, l’aspetto tragicomico è che ogni volta che si parla di «arte internazionale», qui si aprono le porte come fossero le saracinesche di un mercato. JR, dalla Francia. Pistoletto, da Biella, con la sua “Venere degli Stracci“. Jori da Merano con il Pinocchio. Pesce da La Spezia, con un “Pulcinella” che somigliava più a un fallo che a una maschera tradizionale. Che ci azzeccano con Napoli? Niente. Ma evidentemente basta che siano famosi, basta che abbiano un’estetica da Instagram, e vanno bene. Purché non siano napoletani.
Perché il paradosso è tutto qui: gli artisti napoletani, quelli veri, quelli che la città la conoscono, la vivono, la capiscono – quelli no. Quelli non vengono chiamati, non vengono ascoltati, non vengono considerati. Troppo autentici, forse. Troppo “dentro”. E quindi via libera ai forestieri, purché si portino dietro una manciata di stereotipi ben confezionati. Napoli ridotta a folklore. Napoli raccontata da chi non la conosce. Napoli trasformata in un siparietto.
E mentre tutto questo accade, il Duomo di Napoli resta lì. Muto, incollato, deturpato. Il luogo più sacro della città – sì, sacro anche per chi non crede – usato come fondale da salotto. Le pietre che hanno custodito secoli di storia, di fede, di sangue e miracoli, ora raccontano motorini e pizzette. La “resilienza”, come la chiamano loro, si misura in adesivi. Il “mosaico della città” diventa una collezione di cliché.
Rispetto è non incollare sul volto di San Gennaro
No, non basta dire che è temporaneo. Non conta che resterà fino a ottobre e poi sarà smontato. Le ferite non si misurano in mesi. E certe scelte lasciano segni che il tempo non rimedia. Napoli non è una caricatura. Non è una foto da incollare. Non è un’idea partorita a tavolino da chi, evidentemente, non la ama. Perché chi ama, rispetta. E chi rispetta, non incolla adesivi sul volto di San Gennaro.