I fondatori del Pd hanno deciso di liberarsi dalla Schlein: «È solo un ingombro»

Sentenza kafkiana della Cassazione contro il governo sgradito

«Carpe diem» ovvero «Cogli l’attimo» così Quinto Orazio Flacco, spiegava che la vita corre e per potersela godere bisogna cogliere al volo le opportunità che ti offre. Nonostante, però, la stragrande maggioranza dei cittadini e non solo italiani, siano perfettamente d’accordo, i piddini non sembrano crederci più di tanto.

Al punto che mentre siamo ancora all’inizio del 2025, già pensano al 2029, ovvero alla scadenza del secondo mandato di Mattarella alla Presidenza della Repubblica e all’elezione del suo successore.

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La preoccupazione per le politiche del 2027

Sanno che tra oggi e quell’appuntamento, ce n’è un altro che, sui risultati delle presidenziali, potrebbe avere un peso, non da poco, anzi: le politiche 2027. Saranno, infatti, le Camere uscite da quella tornata elettorale a dover eleggere il prossimo Capo dello Stato. Ed è proprio questo che li preoccupa.

Stanno rendendosi conto di aver fatto un grosso passo falso, in quel febbraio di due anni fa, quando si sono affidati alla Schlein quale leader. Cacicchi, cacicche e capibastone – che lei una volta approdata alla segreteria del Pd aveva promesso di far fuori dal partito – oggi la considerano un «ingombro» e temono che andando avanti, così, nel 2029, anziché sul colle, rischiano di ritrovarsi fuori anche dallo scantinato in cui sono relegati ora.

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Il rischio di perdere il Quirinale

Perché se nelle politiche del 2027 dovesse ancora – come al momento sembra prevedibile – vincere il centrodestra, il nuovo inquilino del Quirinale potrebbe essere espresso da questo e non da loro che, di contro dovrebbero rassegnarsi al seminterrato. Al quale, peraltro, si sono autocondannati da soli, accettando, al momento delle primarie 2023, la proposta di allargare il voto per il nuovo segretario anche ai non iscritti e dicendo «sì», alla candidatura di Elly, pur non iscritta al partito e più vicina ai 5S – infatti, l’hanno sostenuta massicciamente al momento opportuno – che al Pd.

Tant’è che dopo il 52,9 raccolto da Bonaccini contro il 34,9 della sfidante dal 3 al 19 febbraio nei circoli fra gli iscritti al partito, nessuno avrebbe giurato che il voto dei non iscritti potesse, addirittura, ribaltare il risultato del primo turno e dare la vittoria alla Schlein con il 53,8 complessivo, contro il 46,2% dell’allora governatore regionale.

Di più, non va dimenticato, che ancora prima di essere riuscita a conquistare la guida del partito, la sardina prodiana con triplice cittadinanza: Italiana, svizzera e statunitense, era stata candidata al Consiglio regionale dell’Emila e Romagna e dopo l’elezione era stata chiamata alla vice presidenza della giunta Bonaccini con delega al clima. Il che era arcinoto a tutti, anche quelli più lontani dal Pd, ancor prima delle primarie.

Per cui, fingere di accorgersene soltanto adesso rappresenta la più grossa ipocrisia di cui un partito possa rendersi colpevole, per liberarsi la coscienza del fallimento, scaricandolo sulla terza incomoda: la Schlein.

La «zavorra» del Pd

Al punto di considerarla, addirittura – come sostiene il sindaco di Milano, Sala – soltanto «zavorra» (forse perché si è detta contraria al terzo mandato o perché non è riuscita a fargli ottenere dal Parlamento le risorse per il cosiddetto «salva Milano» che in realtà era soltanto un salva abusi edilizi per Milano?). Ritenendola, quindi, un intralcio per la vittoria alle politiche del 2027 e la conquista del Quirinale, due anni dopo, è un modo per attribuire soltanto a lei responsabilità comuni a tutti i vertici del partito. Senza capire di star ponendo, così, le premesse perché si avveri proprio ciò che temono e vorrebbero scongiurare.

Ancora una volta, infatti, stanno offrendo il peggio di se stessi, confermando di essere un partito diviso, privo di progettualità e parte di una coalizione che non sa dove deve e vuole andare, ma intende disperatamente andarci. Purtroppo, però, non fa che inciampare perché ognuno tira la fune dalla sua parte, sulle questioni nazionali, come su quelle internazionali (vedi la difesa comune, le armi all’Europa e rapporti con gli Usa).

La leadership della Schlein e le tensioni internazionali

Peraltro, guidato da una leader che non ama Trump, non accetta la Von der Leyen e festeggia la sentenza kafkiana dei Magistrati di Cassazione – che per mettere in difficoltà la maggioranza «che non gli piace» impongono al governo di risarcire per ingiusta detenzione i migranti irregolari trattenuti sulla nave «Diciotti», ma se una decina di migranti irregolari all’anno decidessero di farsi risarcire costerebbe annualmente alle Casse dello Stato, da un milione e 685 mila a 2 milioni e 952 mila, a quel punto, sarebbe davvero il fallimento – e che (per le sue contorsioni pro e anti-Ue) ora si ritrova anche ai margini del Pse. E i 5S provano ad approfittarne per sottrarle consensi.

Per fortuna, gli italiani – conoscono personaggi, interpetri e guasti che hanno combinato e poiché li stanno pagando sulla propria pelle, se ne tengono alla larga. Ma attribuirne le responsabilità soltanto a Elly mi sembra esagerato. Quelli che l’hanno preceduta non si sono dimostrati migliori. E i magistrati anti-riforma suoi amici (volendo dimostrare che, il loro, pure essendo costituzionalmente soltanto un «ordine» è il potere dei poteri) stanno distruggendo la fiducia degli italiani nei loro confronti. E non basteranno questa opposizione e le proprie accuse di «attacchi ingiustificati e inaccettabili» rivolte al governo a fargliela recuperare.

Setaro

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