I magistrati aprono la stagione degli scioperi piuttosto che inaugurare l’anno giudiziario

Ma le Camere Penali e Di Pietro approvano la separazione delle carriere

Povera sinistra. Di questo passo rischia di finire al manicomio. La Meloni è stata l’unico leader europeo presente al giuramento di Trump. E non certo in posizione defilata, anzi! Il che non ha certo fatto piacere a Pd e amici, che non hanno saputo nasconderlo né prima, né durante, né dopo l’evento, né quando ha scoperto, per ammissione dello stesso Trump che la «Meloni» gli «piace molto».

Sola, ma non isolata. Bensì rappresentativa di tutti i 27 leader Ue. Anche perché – seppure apertamente, molti di loro non lo diranno mai, continuando ad attaccarla su tutto per partito preso – sperano che grazie al suo rapporto con Donald possa, non cancellare per carità, almeno provare ad alleggerire il peso dei dazi che il tycoon continua a minacciare.

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La centralità della Meloni e il confronto con Prodi

A ennesima conferma della centralità che, in nome dell’Italia, ha saputo conquistarsi e che nessuno dei supponenti leader politici nostrani, dal battesimo della Ue (2001) a oggi, è riuscito a ottenere. Nemmeno, l’ex premier Prodi, nonostante sia stato il primo presidente della Commissione Ue.

Più, però, per concessioni fatte agli 11 Paesi – ma soprattutto a Germania e Francia – partecipanti in quel momento e le imposizioni accettate (fra cui il peggior tasso di cambio: 1936,27 lire per un euro; un’eurotassa (1997) che fruttò 4.300 miliardi di vecchie lire, più una rapina notturna ai conti correnti bancari degli italiani, per adeguare i nostri conti pubblici ai parametri di Maastricht) che per meriti acquisiti. Come se l’Italia più che un Paese fondatore, fosse l’ultima arrivata e ammessa per grazia ricevuta.

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Ed è proprio questa, insieme al fatto che Musk durante il suo intervento nel dibattito ha simulato il lancio del cuore verso il pubblico per conquistarsene le simpatie, la ragione per la quale la sinistra ha cercato di ridimensionare e «inquinare» – risvegliando more solito il rituale fantasma fascista in agguato – l’importanza della presenza della Meloni all’evento.

Fatica inutile. Immediatamente dopo, infatti, il contatore di Google News ha fatto sapere che la premier con 12mila citazioni quotidiane sulla stampa internazionale, contro le appena 88 di SuperMario Draghi, aveva battuto il record mondiale di citazioni. Risultato cui si sono aggiunti – con sommo gaudio dell’opposizione – la bocciatura della Consulta del referendum sull’autonomia e il «sì» a quelli sulla cittadinanza agli stranieri e il Jobs act. Altri tre «uppercut» pesantissimi per Schlein & c., minandone ulteriormente la compattezza e facendola vacillare ancora di più.

La sfida tra governo e magistratura

Nonostante tutto, però, la quotidianità del governo Meloni, non è tutta rose e fiori. Tutt’altro! L’apertura dell’anno giudiziario di sabato ha segnato – con l’uscita dei magistrati dal dibattito nelle Corti d’Appello al momento dell’intervento del ministro o dei suoi delegati e la conferma dello sciopero per il 27 febbraio – l’inizio ufficiale della «guerra» dell’Anm alle riforme Nordio. E soprattutto di quella relativa alla separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti.

Purtroppo, quel suggestivo «In nome del popolo italiano il Tribunale di…» con cui cominciano tutte le sentenze penali o civili, appare decisamente «superato». Alla luce dei sondaggi sulla fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura – che, peraltro, va sempre più ridimensionandosi – solo il 43% di questi è d’accordo, mentre il 57% ritiene, invece, che il suo operato sia inficiato da scopi politici.

Quella che ha dichiarato guerra, quindi, è una magistratura sfiduciata e un «tantinello» politicizzata con alle spalle una miriade di errori che, dal 1991 al 2022, hanno coinvolto ben 30.778 persone, costando allo Stato oltre un miliardo di euro, senza – «repetita iuvant» – che alcuna responsabilità sia ricaduta su nessuno di loro.

Il problema delle carceri e la posizione delle Camere Penali

Ed è anche giusto ricordare che al 31 luglio 2024, i detenuti presenti in carcere in custodia cautelare erano 15.285, la maggioranza dei quali 8.934 (il 54%) in attesa di primo giudizio (troppo impegnati a contestare e disapplicare le norme del governo?); mentre 6.251 quelli che sono stati già giudicati in primo grado o in appello. Ciò nonostante, le toghe sindacalizzate, hanno deciso di cannonegiare Nordio. E tutto questo, mentre le Camere Penali, l’associazione degli avvocati e, perfino, l’ex pm di «mani pulite» Di Pietro si sono detti contrari all’inusitata rivolta delle toghe contro la riforma.

Per le prime perché «la carriera unica per magistrati inquirenti e giudicanti è solo dei sistemi inquisitori» e per Di Pietro «è un errore» perché «giocatori e arbitro non possono giocare nella stessa squadra». Altrimenti, si rischia l’arbitrio. Come dimostrano le centinaia di assoluzioni perché «il fatto non sussiste» di cui ormai non si riesce più neanche a tenere il conto. E arrivate, peraltro, a capo di lunghissimi anni d’attesa nelle patrie galere dei malcapitati. Intanto, il Capo dello Stato e presidente del Csm Mattarella, tace o parla d’altro.

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