Clan Fabbrocino decapitato: ecco chi sono i boss e i gregari arrestati

di Enrico Biasi

Dai capi e reggenti alla manovalanza, tutti i ruoli degli indagati coinvolti nell’ordinanza eseguita dai carabinieri

Dodici in carcere, uno con l’obbligo di firma. È il bilancio dell’operazione dei carabinieri l’altro giorno che ha colpito e decapitato il clan Fabbrocino. In manette sono finiti capi e gregari del gruppo. Vincenzo Albano, 30 anni, il boss Biagio Bifulco, 68 anni, Raffaele Carbone, 51 anni, Salvatore D’Ascoli, 60 anni, Mario Fabbrocino detto Maruzz, cugino dell’omonimo boss fondatore del clan, il figlio Pietro Fabbrocino, 36 anni, Antonio Iovino, 61 anni, Massimo Iovino di 66, Michele La Marca Michele, 63 anni, il figlio Pasquale La Marca, 38 anni. E ancora, Francesco Maturo, 54 anni, Gennaro Nappi, 56 anni. Infine, Giovanni Guadagno, 59 anni, destinatario della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Biagio Bifulco

Gli inquirenti illustrano nel dettaglio ruoli e caratura criminale degli indagati, tutti noti alle forze dell’ordine. A partire dai capi, come Biagio Bifulco. Dopo la morte del fondatore del clan, Mario Fabbrocino, detto «‘o gravunar» (deceduto in carcere il 22 aprile del 2019), Bifulco è emerso come capo e reggente del sodalizio. Per gli inquirenti ha potere decisionale e riceve direttamente i proventi delle attività illecite del clan. Già braccio destro del defunto capoclan, è riconosciuto dagli altri affiliati, dagli imprenditori e dalla popolazione locale, come boss. Unica spina nel fianco in tal senso è il figlio di Mario, che non avrebbe il carisma e non godrebbe del rispetto che di fatto va riconosciuto ad un vero e proprio capo mafia.

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Qualità che vengono invece riconosciute in Bifulco, ritenuto da tutti «un vero e proprio camorrista vecchio stampo». Infatti, durante le indagini, è emerso il suo ruolo di «capo» riconosciutogli, sia da parte di alcuni imprenditori, che da parte di altri referenti dello stesso clan, i quali, attendevano la sua scarcerazione, per poter così ristabilire le nuove dinamiche e strategie criminali da adottare sui territori di rispettiva competenza. Liberazione, quella di Bifulco, che effettivamente avvenne il 14 marzo del 2023, quando fu scarcerato dalla casa circondariale di Tolmezzo, in provincia di Udine, quando gli furono concessi i domiciliari presso la sua residenza di Ottaviano.

Mario Fabbrocino

Mario Fabbrocino, detto «Maruzz», cugino omonimo del fondatore, fino a quando Bifulco era in cella, svolgeva, in parziale sostituzione, il ruolo di capo e gestore del clan, coordinando le attività del sodalizio, fornendo direttive agli affiliati, con i quali delineava le strategie criminali, gestendo i rapporti con altre organizzazioni e risolvendo eventuali controversie. Presiedeva le riunioni del gruppo, si occupava del mantenimento degli affiliati detenuti e gestiva la cassa del clan, in sostituzione di Michele La Marca che svolgeva tale incarico prima di essere arrestato il 16 luglio 2021.

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La Marca, insieme a Fabbrocino detto «Maruzz», fino a quella data era il capo e gestore del sodalizio, si occupava in prima persona del monitoraggio delle nuove attività presenti sul territorio da sottoporre ad estorsione, soprattutto nel settore legato all’edilizia, imponeva la fornitura di calcestruzzo di determinate ditte sul territorio di competenza, si occupava del mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie, con incarico di gestione della cassa del clan.

Francesco Maturo

Poi c’è Francesco Maturo, ritenuto associato del clan Fabbrocino e militante del sodalizio sia per partecipazione diretta nonché per il coordinamento alle attività criminali dello stesso. È inquadrato nel clan come «elemento di spicco» ed è riconosciuto come tale anche grazie ai legami di parentela che lo legano sia a Bifulco Biagio che a uno zio a sua volta inserito nel clan.

Antonio Iovino

Ha mansioni «di riferimento» anche Antonio Iovino che, per gli inquirenti funge da filtro tra i massimi esponenti del clan come Mario Fabbrocino o la componente relativa al capo clan Biagio Bifulco e i soggetti che si recano da lui per recapitare il denaro che poi verrà inviato ai vertici del sodalizio. Iovino, per conto del clan, si occuperebbe anche di «individuare e ricercare le imprese da estorcere, aggiudicatane di lavori pubblici, di determinare il prezzo della tangente da chiedere e di segnalare il tutto al referente principale del clan» per i territori di San Gennaro Vesuviano e Palma Campania, ovvero Mario Fabbrocino.

Ha presieduto riunioni del gruppo, è accusato di aver praticato estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori tramite la pratica del cosiddetto «cambio assegni», senza contare tenere rapporti con affiliati-detenuti e di provvedere al loro ed a quello delle loro famiglie.

Pietro Fabbrocino

Oltre a Mario, c’è anche Pietro Fabbrocino, figlio del boss noto come «Maruzz». Dalle indagini è emerso come soggetto che, insieme al padre, avrebbe delineato le strategie criminali, si sarebbe occupato di individuare e ricercare le imprese da estorcere, quelle aggiudicatarie di lavori pubblici, di determinare il prezzo della «tangente» da chiedere e di segnalare il tutto al padre.

Michele La Marca

Poi c’è Michele La Marca, noto come «’O mzzon», anche lui ritenuto capo e reggente del clan insieme a Mario Fabbrocino. Si sarebbe occupato in prima persona del monitoraggio delle nuove attività presenti sul territorio, di sottoporre ad estorsione imprenditori e commercianti, soprattutto nel settore legato all’edilizia; di imporre la fornitura di calcestruzzo di determinate ditte sul territorio di competenza, del mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie, con incarico, di gestione della cassa del clan.

La manovalanza

E poi c’è la manovalanza, come Raffaele Carbone, un vecchio fedelissimo della famiglia. Sul curriculum criminale di Carbone si leggono precedenti per droga, estorsione, lesioni personali, minaccia, ingiuria, percosse, rapina, ricettazione e inosservanza obblighi relativi alla misura di prevenzione su persone pericolose. Nel 2018 il magistrato di sorveglianza lo dichiarò «delinquente abituale» e applicò la libertà vigilata per un anno.

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