Arianna e Giorgia Meloni non sono la stessa cosa

di Rino Nania

Non ricoprendo ruoli istituzionali non può essere indicata come responsabile di esercitare un potere pubblico che non ha

La vicenda scoppiata in piena estate lascia interdetti e/o forse quantomeno perplessi. È possibile che un rappresentante di partito (come Arianna Meloni) che non esercita funzioni pubbliche possa rischiare l’incriminazione rispetto ad attività meramente politiche e del tutto estranee a ruoli istituzionali? Può incardinarsi un procedimento senza alcuna notizia di reato o attraverso una semplice insinuazione giornalistica su ipotesi di presunte condotte illecite?

Le condotte tipizzate dal nuovo art. 346 bis c.p. prevedono l’esistenza ed il concretarsi del delitto dell’articolo richiamato, laddove si configurerebbe, altresì, a carico di colui il quale indebitamente fa dare o anche solo promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui al detto articolo, così in assenza di elementi da indicare specificatamente, concretamente individuati con correlati e concomitanti moventi illeciti è possibile supporre e/o presumere un’ipotesi di reato?

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Partendo dagli enumerati quesiti si perviene ad una rappresentazione giornalistica molto aleatoria per quanto sta campeggiando sui giornali che si interessano, distorsivamente, di organizzare campagne di stampa solo tese a dipingere, senza prove, condotte criminose del tutto astratte.

La logica della politica del partito comunista italiano

Questo è il quadro sintetico di una certa patologia che investe la politica-mediatica di una sinistra italiana a corto di argomenti che, secondo la seguita logica leninista e togliattiana, mira ad eliminare il nemico (non l’avversario politico, ma il nemico) con qualunque mezzo esperibile. E su questa china si è sviluppato nell’itinerario storico italiano, ed affermato nella logica della politica del partito comunista italiano, il tentativo costante di fagocitare da parte dei comunisti italiani ad esempio il socialismo italiano con lo scopo di renderlo marginale.

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Prima le purghe, poi le infiltrazioni delle spie nel gruppo dirigente del Partito Socialista Italiano, infine il ricatto economico. Quante volte, quando Nenni o gli altri dirigenti del PSI manifestavano forme di «autonomia», i dirigenti del PCI, a cominciare da Longo o da Cossutta, si precipitavano a Mosca e chiedevano esplicitamente di sospendere ogni aiuto economico-finanziario al PSI!?

Ed ancora tant’altro è avvenuto quando Stalin, dopo aver portato a compimento l’instaurazione di un regime autoritario e repressivo, estese, attraverso la Terza Internazionale, i suoi tentacoli su tutti i partiti «fratelli» degli altri Paesi. Per cui, in questa logica, lontana dall’essere uno strumento di dibattito e confronto paritario, l’Internazionale Comunista, attiva dal 1919, si caratterizzò infatti come semplice cinghia di trasmissione delle decisioni prese a Mosca su tutti i partiti comunisti satelliti, tra cui quello italiano. E fu proprio il Komintern a dare impulso alla scissione di Livorno che dilaniò il PSI. Incominciò in tal modo una lunga sudditanza del Partito comunista d’Italia verso il Cremlino.

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Tracce disseminate ovunque

Le famigerate tracce di questo percorso «totalitario» si trovano disseminate ovunque ed in questo clima di caccia alle streghe che i comunisti italiani e europei svilupparono una marcata ostilità nei confronti delle forze socialdemocratiche, verso coloro che venivano bollati come «socialfascisti» e «socialtraditori», considerati i veri nemici della rivoluzione e ritenuti spesso più pericolosi dei regimi nazifascisti verso cui non mancarono invece significative aperture. Beh… Tali cenni storici fanno da cornice a ciò che nel prosieguo di questo universo ideologico si tradusse in assenza di democrazia e libertà, ovvero ispirati dalla logica della «eliminazione del nemico».

Oggi dopo le vicende relative alle inchieste giudiziarie della fine dei partiti della prima repubblica e dopo che, con lo stesso sistema, si cercò di eliminare Silvio Berlusconi (ed in parte si riuscì), oggi è la volta di Giorgia Meloni e di chi le sta accanto.

Il pretesto viene dato dal ruolo della sorella Arianna, che è coordinatrice del partito di Fratelli d’Italia, che assurgerebbe da «longa manus» nell’esercizio del potere meloniano. Ovviamente l’occasione è solo il pretesto per organizzare attacchi mediatici per condurre una strategia tesa a ribaltare l’esito elettorale, di sottrarre al popolo la legittima sovranità, che si esprime attraverso il voto.

Il tentativo di colpire Arianna Meloni, oltre che impietosamente squadernato e scoperto, è l’ultimo gesto folle di una sinistra che non sa rigenerarsi, che prende lucciole per lanterne e soprattutto confonde la «via giudiziaria» per «orientamento politico», in cui lo strumento-magistratura si fa vettore di allarmismi ingiustificati e mitomanie, finalizzati solo a portare a compimento, con ogni mezzo, l’eliminazione politica di una militante, che da sempre è stata attivista politica. Non ricoprendo ruoli istituzionali Arianna Meloni non può essere indicata come responsabile di qualcosa che non può fare, ovvero esercitare un potere pubblico che non ha. Perché Arianna non è Giorgia e le due figure ed i due ruoli non sono assimilabili.

Setaro

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