Alla Rai vacilla il trono dell’Usigrai, arriva Unirai e le colleghe danno vita all’Associazione «Giornaliste Italiane»
Ma che faccia tosta! A loro dire il flop totale dello sciopero Rai di lunedì scorso sarebbe dipeso – non da chi è stanco di subire soprusi da quelli che pretendono di essere i padroni dei destini d’Italia – dal governo e dimostrerebbe l’asservimento del servizio pubblico televisivo alla presidenza del consiglio dei ministri.
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E il più convinto della cosa pare essere, De Cristofaro, capogruppo alla Camera di Avs per il quale «La prova di forza contro lo sciopero fatta dal sindacato padronale Unirai, indetto dall’unico (solo perché fino a dicembre scorso non ce n’erano altri) sindacato riconosciuto dai giornalisti (quali? Gli «usigraini», naturalmente) è la dimostrazione che il servizio pubblico è sempre più (oplà la parolina magica) TeleMeloni».
Ad avvalorare la tesi dell’unicità democratica dell’organizzazione sindacale «sinistrata», non potevano mancare i 2 leader «partigiani» di Avs: Bonelli e Fratoianni. E, tanto per cambiare, sulla stessa lunghezza d’’onda, anche l’ex direttore de «la Stampa» oggi firma di punta di «Repubblica», nonché fondatore della chat sul 25 aprile, Giannini, che tramite «X» ha fatto sapere: «A chi ancora nega che la Rai sia diventata TeleMeloni: ascoltate la testimonianza dei giornalisti che ci lavorano e forse cambierete idea». Il tutto completato da un video dell’ex quotidiano scalfariano, con unica primattrice una giornalista di «RaiNews24» che accusava l’azienda di fare «pressioni». Tutto qui? Un po’ poco, no? Vero, tant’è che molti utenti della cordata «chattina» lo hanno sbeffeggiato».
Qualcuno facendogli presente che «Un minimo di equilibrio non farebbe male, avete lottizzato la Rai per 40 anni, ora tacete»; e qualche altro gli ha domandato, quanto valesse: «Ascoltare la testimonianza di giornalisti di sinistra che non hanno mai accettato un governo di destra?». Già, purtroppo, però, lorsinistri non hanno ancora imparato a perdere. E non si capacitano che qualcosa sta cambiando.
I «rivali»
Anche se per capirlo, gli basterebbe prendere consapevolezza – quello che non vogliono fare, cercando di contro di ridimensionarne la portata – proprio del flop dell’agitazione organizzata dal carro armato Usigrai, effettivamente fino a dicembre 2023, unico (ribadisco: perché non ce n’erano altri) sindacato presente nella Tv pubblica. Fallimento causato dalla discesa in campo del neonato «liberi giornalisti Rai» (Unirai), che qualche giorno prima di Natale aveva approvato il proprio Statuto e dicendo «no» alla protesta ha consentito, la messa in onda dei notiziari.
Senza dimenticare, poi, che anche le colleghe anti-pensiero unico, da marzo 2024, hanno, finalmente, deciso di alzare la testa e issare la bandiera delle «Giornaliste italiane». A dimostrazione, insomma, di quello che lorsinistri continuano a fingere di non vedere.
La «maggioranza silenziosa»
Ma lo vogliano o no, è tornata la «maggioranza silenziosa». Quella, che nel 1971 a Milano si attivò per mobilitare la media borghesia, e farsi sentire dai mezzi d’informazione che insistevano a far finta di non sentirla, ma anche quella del 1980 passata alla storia di questo Paese, come «la marcia dei quarantamila» che, a Torino, impose ai sindacati di farla finita con scioperi e proteste, sciogliere i picchetti e lasciarli entrare in fabbrica a lavorare.
Francamente se – nonostante la «potenza di fuoco» messa in moto dell’Usigrai per evitare il flop – al Tg1 ha aderito solo il 30% del personale; al Tg2 il 39; al Tg3 vicino alla sinistra l’84; a Raisport il 34; al settore comunicazione appena il 26 e a Rai cultura il 30, bisogna ritenere che «sì» – grazie alla fiducia che ispira e alla linearità d’azione con cui si muove il governo Meloni – la maggioranza silenziosa ha ritrovato voce e coraggio per farsi ascoltare.
Ma, se è vero com’è vero il dg Rai, Rossi ha denunciato alla Commissione di vigilanza che due colleghe del Tg1 che non avendo aderito allo sciopero, sono state, addirittura, minacciate, vuol dire che temono che il flop possa ripetersi e vogliono prevenirlo. Per cui, la leader Pd, Schlein chiama in piazza gli italiani, il 2 giugno a «far muro con i corpi e le parole al premierato». Evidentemente, non le basta l’odio seminato finora e vuole seminarne altro. Chi ne pagherà le eventuali, ma possibili, conseguenze? Nel caso, come sempre le forze dell’ordine, costrette a sopportare inermi le aggressione dei violenti, per non finire, come si dice a Napoli, «cornuti e mazziati» ovvero: malmenati e indagati.