I «mal di pancia» di Salvini? Sono la voglia di dimostrare che la Lega è viva

La sconfitta in Abruzzo ha risvegliato Conte e Schlein dal sogno

Si erano addormentati col sorriso sulle labbra, pensando al miracolo sardo, ma si sono risvegliati con le lacrime agli occhi per la «ripassata» d’Abruzzo. Per 2 settimane non hanno fatto che narrarci la favola del vento cambiato, dell’«effetto Sardegna» e dell’inizio di «remuntada» di cui, però, si sono accorti soltanto loro. Poi, la batosta abruzzese gli ha ricordato che «i sogni belli durano poco, spesso svaniscono all’alba» e che l’effetto Sardegna era stato soltanto un effetto ottico.

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Che la fine dell’esecutivo, il ritorno alle urne o – meglio ancora, per loro – che il Capo dello Stato – onde evitargli il rischio di una nuova, probabile sconfitta – facesse da ostetrico alla nascita dell’ennesimo governo tecnico, senza passare dalle urne, in cui avevano sperato, erano si tutte ipotesi plausibili, ma solo nella loro testa. E ora – anche se non lo ammettono – temono la fine della riscossa.

Ma può finire qualcosa che non è mai iniziata? Perché, se riscattarsi vuol dire: vincere in Sardegna per una differenza di 1600 (0,5%) voti alla candidata, ma non per i partiti e perdendo come coalizione per 37mila voti (11,05%) ed essere sconfitti in Abruzzo per 39.941 voti (7%), con il presidente Marsilio che continuerà a sedere sulla poltrona da dove erano certi di sloggiarlo, con ben 28mila voti in più del 2019, è da ubriachi.

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Al massimo si tratta di una sconfitta di stretta misura, che si sarebbe potuta definire anche onorevole se, però, non fosse stata sporcata dagli eccessi propagandistici nei 15 giorni trascorsi tra il primo e il secondo tempo. «In Sardegna – aveva detto la Schlein – potevano dire di aver sbagliato il candidato, ma in Abruzzo il modello Meloni ha governato cinque anni e Marsilio è il suo uomo». Giustappunto, madama Elly, ma forse è per questo che hanno vinto non le pare? «Vinceremo almeno con il 52%», aveva preconizzato l’aspirante presidente D’Amico alla vigilia. Già prof. ma a metà salita eravate già spompati e fermi!

Le prossime tappe

Ora, si sosta fino al 21 e il 22 aprile, quando si ricomincerà con le regionali in Basilicata – dove per altro, il «cortiletto del condominio» si è già rivoltato contro il candidato ufficializzato ed è ancora in cerca – poi a giugno toccherà alle piemontesi – anche qui l’accordo è saltato per il disaccordo del «Dux» Conte e dei suoi lanzichenecchi sul nome della candidata proposto dal Pd, Pentereno – e alle elezioni europee.

La vera cartina di tornasole

E sono queste ultime la vera cartina di tornasole per verificare l’effettivo livello di fiducia degli italiani e la tenuta del governo Meloni. Il cui maggiore problema non è rappresentato dall’opposizione, ormai ridotta in macerie – dalla malriposta voglia di «campo largo» – figlia solo della consapevolezza che «per vincere dobbiamo stare insieme. È una questione di aritmetica» (solo caccia alla poltrona, quindi, secondo Franceschini) – che confligge con l’acclarata incapacità di stare insieme, pensare e avanzare proposte, utili allo sviluppo del Paese, solo per contestare ciò che fa la maggioranza.

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Il sistema elettorale

Bensì dalla diversità del sistema elettorale tra regionali (maggioritario, ovvero «uno per tutti, tutti per uno») ed europee (proporzionale «tutti contro tutti»). Il che rende indispensabile una campagna elettorale capace di tenere insieme l’utile (l’esigenza di conservare la propria individualità) con il dilettevole (esaltando la compattezza della squadra). Cosa difficile, ma non impossibile.

Anche se, per quanto riguarda quest’ultima esigenza, il rischio è rappresentato dal fatto che seppure non contrastanti le idee degli alleati nel centrodestra su: autonomia differenziata, premierato e separazione delle carriere dei magistrati e, quindi, riforma della giustizia, non sono neanche tanto concordanti e i due emendamenti presentati dalla Lega e bocciati dal governo sul Dl elezioni fanno pensare a qualche «mal di pancia», ma forse dopo i risultati non esaltanti come partito ottenuti in Sardegna e Abruzzo, probabilmente servivano a Salvini per dimostrare ad alleati e avversari che la Lega c’è. Ed è viva.

L’importante, è che queste tre questioni non vengano cancellate prima e se ne possa parlare ancora dopo le Europee. E, magari, sulla base di eventuali nuovi equilibri scaturiti dalle urne. Per il momento, sarà meglio discutere con concretezza di cosa è indispensabile fare, per aiutare le regioni ad offrire alle famiglie servizi (sanità, trasporti, istruzioni, energia, fisco ecc.) più efficienti ed efficaci per aiutare le imprese e l’Italia, stessa, a crescere in competitività e confrontarsi ad armi pari, senza handicap con la concorrenza straniera.

Setaro

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