Funicolare di Chiaia chiusa da un anno e mezzo. Ma non dovevano essere pochi mesi?

di Pasquale De Luca

Gennaro Capodanno punta il dito sui lavori fermi al palo per tanto tempo, mentre nell’800 bastarono solo due anni

Funicolare di Chiaia, a oggi sono 18 i mesi di chiusura dell’impianto dovuto alle opere straordinarie di manutenzione. La storica infrastruttura, che serve giornalmente oltre 15mila passeggeri è chiusa ormai dal primo ottobre del 2022. Causa lungaggini e intoppi burocratici per oltre un anno i lavori sono stati fermi al palo assestando un altro duro colpo a un trasporto pubblico che, nel capoluogo partenopeo, ha già notevoli criticità, questo quanto denuncia Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori Collinari.

Le ripercussioni in questo lungo periodo di tempo, prosegue Capodanno, si sono aggravate anche per la totale insufficienza dei mezzi sostitutivi messi in campo dall’ANM. «Il traffico al Vomero, specialmente dopo la voragine e la conseguente chiusura di alcuni tratti di via Solimena e di via Morghen, ogni giorno va in tilt con strade e piazze bloccate, in particolare nelle ore di punta, all’ingresso e all’uscita delle scuole. Soprattutto lungo le arterie che si diramano da piazza degli Artisti per raggiungere le altre zone della collina ma anche nel quadrilatero tra via Cimarosa, via Bernini, via Stanzione e via Annella di Massimo».

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A ritornare puntualmente, a ogni significativa scadenza, sulle conseguenze scaturite dal fermo dell’importante impianto a fune è l’ingegnere già presidente della Circoscrizione Vomero, da lustri impegnato a segnalare le vicende e purtroppo i malfunzionamenti che da tempo stanno caratterizzando la vita delle funicolari cittadine, e fondatore sul social network Facebook del gruppo «Napoli: gli “orfani” della funicolare di Chiaia».

I lavori del 1887

«Va ricordato – sottolinea – che la costruzione di questa funicolare, la prima dei quattro impianti a fune presenti a Napoli, fu realizzata dalla ditta “Fermariello Gennaro” nel periodo tra il maggio del 1887 e l’ottobre del 1889, per essere inaugurata il 17 ottobre 1889. Dunque i lavori richiesero poco più di due anni con le tecnologie dell’epoca, con una trazione che originariamente era effettuata con motori a vapore mentre l’elettrificazione avvenne solo l’anno seguente. Oggi, con le tecnologie del 21esimo secolo e dopo oltre 200 anni da quell’evento, occorrerà praticamente lo stesso tempo solo per realizzare i lavori di revisione ventennale. Una vergogna!».

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Tanti danni agli utenti

«Intanto – afferma – non accenna a diminuire il disappunto per l’eccessiva durata del fermo della funicolare, i cui treni collegavano le due stazioni terminali in poco più di tre minuti, andando a penalizzare anche i viaggiatori, che affluivano dalle due stazioni intermedie di Palazzolo e di corso Vittorio Emanuele, per i quali non è stato mai istituito un mezzo sostitutivo su gomma».

«Solo a fine maggio 2023, al quarto tentativo, è stata aggiudicata la gara d’appalto, per un importo di poco meno di 7 milioni di euro, con lavori che però sono iniziati cinque mesi dopo, nell’ottobre dell’anno scorso. Intanto era trascorso già oltre un anno dal fermo dell’impianto. Allo stato, considerando i dieci mesi indicati nell’appalto per l’esecuzione dei lavori e i tempi per effettuare le prove finalizzate a ottenere il nulla osta dell’Ansfisa, se tutto va bene, si può preventivare che l’impianto non riaprirà prima dell’autunno prossimo, anche se va ricordato che, in passato, si sono verificati non pochi ritardi per analoghi lavori effettuati sugli impianti a fune del capoluogo partenopeo».

«Comunque vada – conclude Capodanno -, Napoli, ancora una volta, acquisirà un nuovo primato negativo nell’ambito del funzionamento del trasporto pubblico. Difatti, alla fine, la funicolare di Chiaia sarà rimasta chiusa per circa due anni, battendo ampiamente il primato detenuto dalla funicolare Centrale che, anch’essa per i lavori di revisione ventennale, rimase chiusa al pubblico dal 1 agosto 2016 al 22 luglio 2017, dunque “solo” per quasi un anno a fronte dei sei mesi originariamente previsti».

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