Geolier: il capro espiatorio di Sanremo 2024?

Simpatia per un ragazzo di 23 anni che sta subendo una pressione mediatica non indifferente

Uno scintillante sogno febbrile collettivo, cinque serate di iper-stimolazione dei sensi e delle emozioni, l’unico contesto al mondo in cui possono coesistere, a distanza di una manciata di minuti, il toccante tributo della mamma del giovane musicista Giovanbattista Cutolo, e John Travolta che balla il ballo del Qua Qua con Fiorello e compagnia cantante.

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Una settimana all’anno per sentirci tutti opinionisti, critici musicali, sapienti analisti del costume e dello stato dell’arte, e soprattutto per litigare come cani rabbiosi attraverso il megafono dei social media, rivendicando una libertà di espressione i cui contorni facilmente vengono sfumati e confusi con quelli di un odio smisurato e gratuito. Perché Sanremo è Sanremo… e nel bene e nel male è molto più di una kermesse musicale: è una lente di ingrandimento sugli umori e sulla sensibilità di un’intera popolazione, che in occasione del festival non esita a sfoggiare il peggio di sé.

Le polemiche

Tra le innumerevoli polemiche sorte in questa edizione, una delle più ricche di controversie degli ultimi anni, su tutte svetta quella che coinvolge il cantante partenopeo Geolier, che in sole 48 ore ha fatto impallidire il memorabile blanco-gate, suprema controversia dello scorso anno, ed eclissato tutti gli altri più o meno eclatanti scivoloni dell’attuale edizione.

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Geolier, all’anagrafe Emanuele Palumbo, rapper napoletano classe 2000, aveva già fatto parlare di sé essendosi aggiudicato il primo posto all’esito della seconda serata del festival. Ma fin lì tutto bene, perché si trattava ancora di un trionfo parziale, in quanto a gareggiare erano solo quindici cantanti su trenta, in più a determinare il punteggio della serata erano «solo» la giuria delle radio per il 50% e il televoto per il restante 50%.

Il vero caso è scoppiato la scorsa notte, nel corso della serata cover, con il suo share da record del 67,8%. Serata in cui i cantanti in gara sono stati affiancati da grandi nomi del panorama musicale nazionale e internazionale.

Ma soprattutto, nel corso della serata cover hanno votato sia il pubblico da casa (34%), sia la giuria radio (33%), sia sala stampa, tv e web (33%), dunque le stesse componenti che giudicheranno la finale di stasera. E anche qui, secondo molti inaspettatamente, Geolier si è classificato primo, con un medley intitolato “Strade” in compagnia di Gigi D’Alessio, Gue Pequeño e Luchè.

Se il popolo del web mostrasse così tanta indignazione per le ingiustizie che ogni giorno coinvolgono milioni di bambini nel Mondo, forse vivremmo in una realtà diversa.

Le critiche a Geolier

Partiamo dalle critiche più ragionevoli: la cover di Geolier aveva una competizione di un certo livello. Angelina Mango ha portato in scena un tributo al padre cantando «La Rondine», in un’esibizion di una dolcezza unica ed eseguita magistralmente, meritando una standing ovation di due minuti.

Alfa, concorrente coetaneo di Geolier, ha duettato con un pilastro della musica Italiana come Roberto Vecchioni nel brano «Sogna, ragazzo, sogna», rispondendo all’invito che chiude il brano storico: «manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu». Ghali, rapper di origini tunisine, ha iniziato la sua esibizione cantando in arabo e ha concluso con «L’italiano» di Toto Cutugno, dimostrando ancora una volta di essere un italiano vero.

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E ancora Dargen D’amico con un geniale tributo a Ennio Morricone, Annalisa con il suo virtuosismo vocale insieme a La Rappresentante di Lista, I Santi Francesi con la mitica Skin. Con una scaletta di questa caratura, molti hanno ritenuto che l’esibizione di Geolier non brillasse, e dunque non meritasse il primo posto. È una critica lecita ed è lecito esprimere dissenso.

Il campanilismo dei napoletani

Si tratta, però, solo della punta dell’iceberg. Un’altra critica più o meno mite è stata quella legata al supposto campanilismo dei napoletani, che avrebbero votato per il loro concittadino senza alcuno spirito critico. Questa affermazione potrebbe avere un fondo di verità, perché vedere la propria città emergere sul tetto d’Italia è un orgoglio, perché per Napoli è un periodo di particolare riscatto, perché «ce sta o mare fore», «Forza Napoli», «a me me piace o blues» e chi più ne ha più ne metta. Si racconta che anche quando nel 1968 un ragazzino di 17 anni che si faceva chiamare Massimo Ranieri partecipava al festival per la prima volta, attraverso il passaparola molti decidevano di votare per questo «ragazzo del rione».

D’altronde, che ci piaccia o no, il televoto non è tecnico, per questo rappresenta solo il 34% della valutazione complessiva. Dal televoto emerge chi piace, e Geolier a molti piace e non solo a Napoli. Le statistiche di Spotify riportano che ha 5,8 milioni di ascoltatori mensili (la popolazione di Napoli al 2019 è di 3 milioni). Sanremo è da sempre anche una gara di popolarità e il giovane artista, nel suo genere, è decisamente popolare.

Ma purtroppo dalle accuse di campanilismo all’odio vero e proprio il passo è spaventosamente breve, e in un attimo è stato esposto un nervo scoperto del nostro Paese. Il razzismo nei confronti dei napoletani è un fatto, e alcune uscite da parte degli utenti del web sono state di pessimo gusto.

Forse, se Napoli risponde con questo «acritico campanilismo» è anche perché per anni è stata bistrattata e poco o male rappresentata nei media di massa, e l’atteggiamento di chiusura da una parte e dall’altra si alimentano a vicenda in un malsano circolo vizioso. «Poteva succedere ovunque ma è successo proprio a Napoli» è una frase ridicola e frutto di una visione estremamente parziale e miope della realtà.

Un «cuozzo» fa sempre più rumore di un «maranza»

Sorge spontaneo chiedersi perché un «cuozzo» (e chi lo ha detto che Geolier lo è?) fa sempre più rumore di un «maranza», a parità di virtù e grandi imprese. Si potrebbe, poi, aprire un’infinita parentesi sull’utilizzo del dialetto al festival della canzone italiana, su come sia già avvenuto diverse volte ma questa volta qui fa più rumore e, per qualche motivo, da più fastidio.

Mentre ognuna delle ridicole «fazioni» accusa l’altra di essere una massa di «piagnoni antisportivi», facendoci ancora una volta vergognare di quello che come comunità siamo diventati, non si può fare a meno di provare simpatia per un ragazzo di 23 anni che sta subendo una pressione mediatica non indifferente e un’ondata di dissenso aggressivo che sarebbe troppo semplicistico liquidare con il solito argomento «se è in ballo deve ballare», come se ogni personaggio pubblico fosse munito di un superpotere per cui non debbano tangerlo in alcun modo le critiche e le accuse più o meno gratuite.

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