La Consulta: illegittimo stop attenuanti
Dopo i tanti «no» incassati in questi mesi dalla magistratura (e anche dal ministro Nordio) sulla revoca del 41 bis e sulle richieste di differimento della pena e dei domiciliari, Alfredo Cospito torna a sperare. La Corte costituzionale ha fatto cadere la norma che vincolava la Corte d’assise d’appello di Torino a infliggergli necessariamente l’ergastolo per l’attentato alla Scuola degli allievi dei carabinieri di Fossano.
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Aprendo così la via alla possibilità, se i giudici di merito lo riterranno, anche di dare una pena meno severa, tra i 20 e i 24 anni, ad Alfredo Cospito, da 6 mesi in sciopero della fame. Saranno loro insomma ora a dover decidere se infliggere il carcere a vita come chiede la procura generale di Torino o meno. Mentre nessun effetto, a quanto si apprende, avrà la decisione della Consulta sul 41 bis.
Il reato di strage politica
Si tratta comunque di un risultato per Alfredo Cospito e il suo legale, l’avvocato Flavio Rossi Albertini, che per primo aveva sollevato dubbi sulla legittimità di quella norma, trovando orecchie attente nei giudici di secondo grado di Torino che hanno poi portato il caso davanti alla Corte costituzionale. Per quei due ordigni ad alto potenziale piazzati dentro cassonetti per i rifiuti vicini a uno degli ingressi della Scuola, il 2 giugno del 2006, il 55enne sta già scontando una condanna a 15 anni di reclusione, salita a 20 con le aggravanti. Ma poi la Cassazione ha riqualificato il reato come strage politica, punita con l’ergastolo, mettendo i giudici torinesi nella condizione di dover rideterminare la pena.
Tenuto conto che a Fossano non ci furono né morti né feriti e valutata perciò la possibilità di riconoscere l’attenuante dei fatti di lieve entità, i magistrati di secondo grado si erano imbattuti però in un ostacolo insormontabile: il comma 4 dell’articolo 69 del codice penale, che sinora impediva per il reato di strage politica nei casi di recidiva reiterata, come quello di Alfredo Cospito, l’applicazione dello sconto di pena. Si tratta appunto della disposizione che è stata dichiarata incostituzionale della Consulta.
Per capire le ragioni della pronuncia bisognerà attendere la sentenza. Per ora l’ufficio stampa della Corte spiega che la Consulta ha dichiarato illegittima la norma «nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo». Secondo la Corte, «il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dai primi tre commi dello stesso art. 69».
Valutazioni caso per caso
Ne consegue che «il giudice dovrà valutare, caso per caso, se applicare la pena dell’ergastolo oppure, laddove reputi prevalenti le attenuanti, una diversa pena detentiva». Nell’udienza pubblica che si era svolta ieri mattina alla Consulta l’Avvocatura dello Stato, per conto della presidenza del Consiglio dei ministri, aveva chiesto di dichiarare la questione posta dai magistrati di Torino inammissibile o infondata.
I giudici d’appello, era stata la tesi degli avvocati Paola Zerman e Ettore Figliolia, sono incorsi nell’ «equivoco» di ritenere di lieve entità la strage politica se non ci sono morti, ma questa è un’ipotesi «fuori dalla norma». Non solo: se si procedesse su questa via si aprirebbe un «vulnus» nel sistema dei reati di pericolo, con il risultato che si potrebbe applicare l’attenuante per lieve entità del fatto anche a reati come l’associazione mafiosa.
A sostegno della linea intransigente dell’Avvocatura, anche la considerazione che la strage politica, punendo chi vuole attentare alla sicurezza dello Stato, è «tra i reati più gravi in una democrazia» e l’ideologia, che sta dietro a ogni anarchico, è «che la violenza possa vincere». L’avvocato dell’anarchico aveva invece richiamato alcune pronunce della Corte Costituzionale in cui era stata ventilata l’incostituzionalità di questa norma «perché non consente di parametrare la sanzione all’offesa concretamente commessa» .
Poi con i giornalisti non aveva nascosto la preoccupazione per le condizioni del suo assistito. «Non si alimenta con pasta, pesce e carne, da 180 giorni. Non avremmo mai pensato che sarebbe giunto vivo al 18 aprile ma ha perso la capacità di deambulare, non muove più un piede e ha perso 50 chili di peso». Un quadro che però ora potrebbe cambiare.