«Labirinto senza uscita»: trans 19enne si suicida a Napoli

di Redazione

Chiara ha posto fine alla sua vita nella sua stanza

Si sentiva in un «labirinto senza uscita», ha provato con tutte le sue forze, ha tentato di cambiare vita e darsi una possibilità, ha chiesto aiuto ma nonostante tutto non c’è riuscita. A 19 anni ha posto fine alla sua vita nella sua stanza, in quell’appartamento nel quartiere di Scampia a Napoli, dove viveva con la madre e le sorelle.

E’ la storia di Chiara, una transgender, che ancora minorenne due anni fa si rivolse al numero verde contro l’omotransfobia del Gay Center di Roma. Una vita difficile la sua, soprattutto da quando aveva deciso di esprimere la sua identità femminile, di entrare in contatto con il mondo come donna e non più come uomo.

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I genitori e le sorelle non accettarono questo suo cambiamento, la famiglia in un primo momento la rifiutò. In strada, nel suo quartiere, veniva spesso presa in giro, se non aggredita. A scuola era ormai da tempo vittima di bullismo, tanto da farla decidere di abbandonare gli studi. E così disperata si decise a chiedere aiuto.

Il dolore in una lettera e la richiesta di aiuto

«A volte mi chiedo – scrisse Chiara in una lettera – cosa ci sia di sbagliato in me. In fondo sono sempre un essere umano. Io mi sento una donna, vorrei riconoscermi, vestire al femminile e non da maschio, vorrei avere più spazio, essere tranquilla e non avere paura. Mi sento in un labirinto senza uscita».

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Quella telefonata al numero verde avviò un iter e Chiara acconsenti di rivolgersi alla polizia. Ma quando gli agenti arrivarono lei dapprima ritrattò tutto e non ebbe il coraggio di denunciare i soprusi, le angherie e le violenze. Poi alla fine ci riuscì e grazie alla Gay Help Line e tramite l’Oscad (l’Osservatorio interforze del Ministero degli Interni, contro gli atti discriminatori), venne accolta in una comunità, dove è rimasta fino a 18 anni, come prevede la legge quando una giovane decide di interrompere gli studi. Se invece avesse studiato avrebbe potuto usufruire dell’ospitalità fino ai 21 anni.

E così a 18 anni, senza soldi, senza istruzione e senza un lavoro, Chiara ha deciso di rientrare a casa. Il padre nel frattempo era morto, e la mamma disabile e le sorelle questa volta sono riuscite ad accoglierla. Ma Chiara, impegnata ad occuparsi della madre disabile, era sempre più triste e sempre più chiusa in se stessa fino a convincersi che da quel ‘labirinto’ non sarebbe più uscita. Ora persino dopo la sua morte, il fatto di non aver compiuto la transizione di genere, sta creando problemi: la sorella non sa se riuscirà a stampare i manifesti funebri con il suo nome: «Chiara» e non con quello di un uomo che non gli è mai appartenuto.

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