Come scriveva Anna Politkovskaja «l’Europa continua a dormire come se non fosse che in terra d’Europa si combatte …»
I fatti quando accadono generano effetti non sempre voluti o predeterminati. La radicalità della vita contiene l’imponderabile e nonostante l’uomo abbia da sempre aspirato ad una sorta di razionale, previsione non sempre riesce nell’intento.
Il dato da cui avviare il ragionamento è proprio l’intenzione che non riesce sempre a prevedere nella complessità degli effetti quali possano determinarsi e quali no. E se i mezzi che mirano a cogliere gli obiettivi non sempre si dimostrano proporzionati al conseguimento del risultato, questo fa registrare i limiti delle leadership. Ovvero si possano riscontrare in tali ipotesi anche del tutto avulsi, quando gli strumenti che si impiegano, rispetto a ciò che si vuole ottenere, non siano conducenti: il bene della vita, difatti, è ricavare soddisfazione per l’impegno profuso e per la direzione di marcia intrapresa. E quando questo non accade il pensiero critico dovrebbe spingerci alla riflessione.
Su questo cammino si misura il merito dell’intelligenza, quale esito voluto a prescindere dagli umori del momento. Su questo incedere è possibile valorizzare il talento quale bene della vita e quale momento realizzativo di una volontà che prova ad essere incisiva, che guarda all’oggi come progetto per un domani che doni serenità rendendo lieve il peso dello sforzo perchè coniuga passione e piacere. Di contro la sopraffazione è il luogo dove la violenza espleta la sua funzione ovvero quella di eliminare la forza altrui. Qui è la guerra.
Questa è la terra, come ha scritto Anna Politkovskaja, laddove «la pace serve alle capanne, la guerra ai palazzi». In cui cioè la corruzione dei valori, il laissez faire relativista ed il trasformismo opportunista relegano il tutto all’agire senza regole, consegnando gli effetti a variabili o liberticide o arbitrarie, ovvero incontrollate e/o incontrollabili.
Di qui si giunge alla variabile impazzita del giorno, la guerra in Ucraina, che ossifica l’idea di uno scontro che da breve passa ad essere lungo. E chi dovrebbe spingersi verso approdi in cui si possano limitare i morti, attraverso un sistema di negoziazione diplomatica e di pacificazione, invece ottiene l’esatto opposto ovvero una guerra di stragi e di temporeggiamenti tesi a vendere più armi ed a ridurre il mondo ad una dimensione.
Su questo dovrebbe intervenire il vecchio mondo che cerca di andare avanti senza volontà di chiudere la partita nefasta. La Vecchia Europa non appare più capace di coltivare il proprio destino, attraverso l’opera di ricostituzione di un tessuto di solidarietà che scongiuri l’innalzarsi del numero delle vittime e si riappropri di un territorio che va dall’Atlantico agli Urali, come diceva De Gaulle, e dal mare del nord al mare Mediterraneo.
Invece oggi un’Europa invertebrata gioca una partita di risulta, ovvero di dipendenza dagli USA, senza riuscire a dialogare con Putin, per farlo ricredere dal suo arbitrario gesto. E come scriveva nel 2001 Anna Politkovskaja «l’Europa continua a dormire come se non fosse che in terra d’Europa che si combatte …» senza riuscire a coltivare una strategia e muoversi consequenzialmente nell’intento di dissuadere i contendenti di portare avanti la disgraziata tragedia.
Come si sa le sanzioni si stanno ripercuotendo sulle metaforiche capanne di tutto il mondo in cui i palazzi gongolano: in Ohio (USA) gli scaffali dei supermercati cominciano ad essere vuoti, mentre in tutta Europa i prezzi stanno subendo un’escalation al punto da determinare una condizione di stagflazione (combinazione dei termini stagnazione ed inflazione) si indica la situazione nella quale sono contemporaneamente presenti nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione economica). Questa è l’Europa incapace di essere “altra”.