La storia di un Sud che non cresce e di una Questione meridionale che non riusciamo a vincere
Perché la vittoria di Carlo Ancelotti c’entra con la Questione meridionale. Sabato per la quarta volta su cinque finali disputate l’ex allenatore del Napoli ha vinto la Coppa dei Campioni, quella che oggi si chiama Champions League (quanto è figo l’inglese).
Indice Articolo
Lo ha fatto alla sua maniera, con buon senso e gioco all’italiana, al termine di una partita non bella dove il Real Madrid ha fatto il classico catenaccio (difesa solida, un portiere fenomenale come Courtois e un attaccante che butta la palla in rete quando serve). Di contro un Liverpool manovriero, che ha fatto gioco ma che ha avuto nel suo terminale d’attacco il punto debole (Salah bravo ma inefficace e Manè sotto le aspettative). E così alla fine le merengues hanno alzato la loro 14esima Coppa Campioni, che quest’anno insieme allo scudetto fa una splendida doppietta.
Fin qui la cronaca sportiva. Embè vi starete chiedendo, cosa c’entra tutto questo con il Sud che non cresce, appunto con la Questione meridionale? Certo che c’azzecca. Riavvolgiamo per un attimo il nastro del nostro racconto indietro di qualche anno, giusto a quando Re Carlo Ancelotti era seduto sulla panchina del Napoli. Sì proprio lui, quella che sabato ha vinto la sua quarta Champions; il tecnico più titolato al mondo era l’allenatore del Napoli, scelto da De Laurentiis per prendere l’eredità di Maurizio Sarri, il quale dopo lo scudetto perso in albergo aveva deciso di cambiare aria e di andare in Inghilterra ad allenare il Chelsea.
Insomma, un grandissimo colpo di mercato al quale per la verità nessuno credeva tanto che qualche giornalista all’epoca dichiarò che se fosse arrivato Ancelotti al Napoli sarebbe andato a Roma a piedi. Come se poi Napoli non fosse una società e una città capace di meritare un simile allenatore.
Ebbene, una volta arrivato questo campione della panchina quali sono stati risultati?
Quali successi ha portato a Napoli e al Napoli. Beh, nessuno. Anzi poco più di un anno dopo Ancelotti si troverà ad essere esonerato dallo stesso De Laurentiis per fare posto a Gennaro Gattuso, allenatore con un curriculum di gran lunga più modesto.
Ma questo racconto sarebbe parziale se non dessimo conto del clima che accompagnò l’avventura di Ancelotti sulla panchina del Napoli. Una lunghissima scia di polemiche, maldicenze e vere e proprie calunnie che investirono il Carletto nazionale e il suo staff, in primis il figlio Davide: pensionato, bollito, venuto a Napoli per raccomandare il figlio. Ed a far da megafono, ma forse sarebbe meglio dire da detonatore, la stampa nostrana e quella italica, in particolare quella del Nord la quale in un gioco ormai secolare riesce sempre a trovare qualche Liborio Romano dalle nostre parti buono per irretire il popolo napoletano ed avvelenare l’ambiente.
Di contro però non è difficile immaginare quale trattamento sarebbe stato riservato ad Ancelotti se fosse stato ingaggiato da una squadra di Roma in su. Allora sì che si sarebbero cantate le sue lodi, al grandissimo colpo di mercato. Invece la storia è andata diversamente ed infatti dopo una stagione e mezza Ancelotti è stato messo alla porta. Certo ce ne ha messo anche del suo il ‘povero’ Ancelotti con risultati deludenti e con un aplomb che non è riuscito mai fino in fondo a conquistare la pizza partenopea, peraltro ancora ferita dall’addio del ‘suo comandante’ Sarri.
A Napoli è stato trattato come un paria
E’ chiaro però che qui l’aspetto sportivo con annesse ragioni di quell’esonero ci interessa poco, quello che preme è piuttosto un altro aspetto e cioè che un fior fiore di professionista, uno che ha vinto dovunque sul piano nazionale e internazionale, a Napoli ha fallito in maniera clamorosa. Anzi è stato trattato come un paria, alla stregua di un allenatore sul viale del tramonto e che soltanto per questa ragione si sarebbe convinto a venire a Napoli, giusto per godersi una dorata pensione. Perché in fin dei conti ‘qui non avete mai vinto un… bip’ (copyright Aurelio De Laurentiis).
E’ evidente che non è così e lo dimostra proprio il doppio successo in Liga e in Champions League di quest’anno con il Real Madrid a poco più di due anni dalla sua avventura con il Napoli. E lascia il tempo che trovano giustificazioni del tipo «avrebbe vinto chiunque con i campioni che si ritrova il Real Madrid» perché bisogna ricordare che l’anno scorso il Real Madrid con la stessa formazione non ha vinto nulla.
In realtà il brutto epilogo della vicenda Ancelotti a Napoli ci racconta un’altra storia e che è l’incipit di questo articolo, e cioè quella del Sud che non cresce e della Questione Meridionale. In breve, dell’inadeguatezza della classe dirigente meridionale, che sia sportiva o politica o imprenditoriale, si dimostra incapace di cogliere quelle occasioni che si presentano per rilanciare il territorio. E questo vale anche se da anni ripetiamo che l’unica cosa che funziona a Napoli è proprio il Calcio. Perché un conto è far funzionare qualcosa cogliendo risultati, un conto invece è essere protagonisti e vincenti. E’ tutta un’altra storia.
I tasselli mancanti
Insomma, siamo sempre alle solite al Sud: non sono mai mancate le risorse, che si chiamino Ancelotti o ‘Risanamento’ o ‘Cassa del Mezzogiorno’, il problema sta sempre nella classe politica o dirigente a cui spetta indicare la linea, decidere quale via intraprendere, quali dovranno essere i programmi di rilancio e sviluppo. Sta nelle loro menti, sulle loro spalle e nei loro cuori il futuro del Sud. Fino a quando mancheranno queste figure il Mezzogiorno continuerà a girare a vuoto.
Ecco perché la storia di un Carlo Ancelotti vincente a Madrid ci parla così da vicino e ci dice tanto di un Sud che non cresce, che non riesce mai ad imboccare la strada dello sviluppo per lasciarsi finalmente alle spalle la Questione meridionale.
© Riproduzione riservata