Crollerà il mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti?

Biden: «Tagliare il gas russo danneggerà l’Europa, ma è il prezzo che sono disposto a pagare»

Ormai tutto è chiaro: à la guerre comme à la guerre, direbbero i francesi, siamo in guerra e dobbiamo accettarla così com’è. In realtà, la guerra non è un evento naturale, non è un temporale che dipende dalle avverse condizioni metereologiche.

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La guerra, purtroppo, è voluta e perseguita dagli uomini, che, secondo un antico pregiudizio, dovrebbero essere razionali ed invece sono spesso un grumo di passioni, ambizioni ed altri poco nobili intendimenti. Un antico detto dice che Dio fa impazzire gli uomini che decide di mandare in rovina. Ed eccoci di fronte all’impazzimento generale.

La guerra russo-ucraina sembra l’occasione giusta per mostrare al mondo intero che la follia guerrafondaia degli Stati sedicenti democratici, civili e progrediti, vorrebbe far credere che si possa porre fine al conflitto buttando benzina sul fuoco, armando irresponsabilmente una delle nazioni belligeranti ed infliggendo assurde sanzioni economiche all’altra parte, peraltro rivelatesi fortemente autolesioniste.

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Per di più è ormai in corso una forte spinta ad allargare il conflitto ad altri paesi e magari farlo durare per parecchi anni come già avvenuto in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan ed in altri teatri di guerra.

Tuttavia, se si getta lo sguardo su avvenimenti passati, senza neppure la necessità di soffermarci sulle cause dirette della guerra in corso, si capisce come siamo arrivati alla crisi odierna.

C’è dietro un lungo fermento, follemente ideologico, che è deducibile dalla politica militare occidentale successiva al crollo dell’Unione Sovietica, che avrebbe dovuto porre fine alla lunga guerra fredda USA-URSS e che invece ha posto le premesse per i successivi e ulteriori sanguinosi conflitti.

La teoria del neoconservatorismo

Venuto meno il nemico principale, il comunismo sovietico, ed il suo braccio armato, il Patto di Varsavia, avremmo dovuto aspettarci una distensione tra l’Occidente «democratico» e la Russia non più comunista.

Invece, si è riaccesa una funesta scuola di pensiero che, nata negli anni sessanta del secolo scorso, è diventata pressoché egemone ed ha influenzato soprattutto la politica estera americana a prescindere dal colore dei presidenti e delle maggioranze di turno. Si tratta del neoconservatorismo, che, a dispetto del nome, è nato da un gruppo di intellettuali di sinistra critici verso il partito democratico per la conduzione della guerra in Vietnam.

In sintesi, il movimento, detto anche neocon, fa propri gli ideali da esportazione del presidente democratico Woodrow Wilson, lo stesso che fu fautore del suprematismo bianco e che alla fine della prima guerra mondiale si impose nel congresso di Parigi come protagonista dei nuovi assetti territoriali dell’Europa, che gli valsero il premio Nobel per la Pace, ma crearono i presupposti perché si arrivasse dritti verso la seconda guerra mondiale.

Nel suo entusiasmo civilizzatore, credette di potere attribuire agli USA il diritto di intervenire preventivamente contro chiunque possa essere ritenuto nemico e di favorire il cambio di regime ovunque ciò comporti un interesse vero o presunto.

L’etichetta di neocon oggi non è accettata da molti conservatori repubblicani e da molti democratici, ma la realtà si è fatta carico di dimostrare che la dottrina ha imbevuto di sé la politica estera di tutti i presidenti del dopoguerra fino all’attuale, Joe Biden, che ha mostrato di essere particolarmente aggressivo sin dal primo giorno del suo insediamento, inaugurato con un bombardamento in Siria da autentico paladino delle guerre «giuste» condotte in nome dei più alti principi «democratici» incarnati dalla superiore civiltà a stelle e strisce.

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L’obiettivo finale è stato ben espresso da David Rockefeller, repubblicano, al Convegno del Gruppo Bilderberg del giugno 1991 a Baden, Germania: «Sono certo che il mondo odierno sia pronto alla progressione unanime verso la creazione di un solo grande governo mondiale. Si tratterà di un’entità sovranazionale controllata da una élite intellettuale e imprenditoriale accuratamente scelta, la gestazione sarà in mano alle banche. Credo che questo mio progetto sia di gran lunga preferibile all’auto-determinazione nazionale esercitata in tutti questi secoli».

Il tema di un unico governo mondiale a guida USA, dopo una profetizzata guerra distruttiva contro Cinesi e Russi, lo si ritrova anche in una vecchia dichiarazione di Henry Kissinger, anch’egli repubblicano e ritenuto un moderato: «Dalle ceneri noi costruiremo una società nuova, resterà solo una superpotenza, e sarà il governo mondiale che vince».

La corsa agli armamenti

Non deve stupire, quindi, che la interminabile corsa agli armamenti messa in atto dagli Stati Unititi e dai suoi alleati abbia lo scopo di prevenire il nascere di una potenza antagonista capace di insidiare il preteso assetto unipolare di oggi in vista dell’agognato governo mondiale.

Lo storico pacifista svizzero Daniele Ganser, nel suo libro del 2021, Breve storia dell’impero americano, fornisce un’abbondanza di dati che fanno riflettere.

Premettendo che nei loro 242 anni di storia gli USA ne hanno trascorsi solo sedici senza guerre («dopo il 1945, sono stati ventidue i paesi contro i quali gli USA hanno adoperato la violenza in modo palese o occulto»), snocciola analiticamente l’incremento delle spese militari, passate dai 50 miliardi di dollari della fine degli anni cinquanta ai 738 miliardi del 2020.

A ben vedere, le spese militari di Russia e Cina sono ben poca cosa con i 46 miliardi della prima e con i 250 della seconda. Probabilmente, gli USA, forti anche dell’Alleanza Atlantica, pensano che, la massiccia fornitura di armi all’Ucraina, possa impantanare la macchina bellica della Russia in un conflitto di lungo periodo, oppure scatenare una nuova guerra mondiale: in entrambi i casi, convinti di uscirne vincitori, potrebbero scongiurare l’ascesa della potenza russa e prevenire quella della Cina.

In altri termini, il mondo unipolare a guida americana non può essere messo in discussione, costi quel che costi. A tal proposito sono illuminanti le parole di Biden, che non si lascia impensierire dall’altrui immane crisi energetica: «Tagliare il gas russo danneggerà l’Europa, ma è il prezzo che sono disposto a pagare».

Pagheranno gli altri, ovviamente, e pagheranno caro, ma ciò ha poca importanza per gli Stati Uniti, pur di garantire la loro egemonia. Il vecchio mondo, però, mostra segni visibili di crisi ed anche se riuscisse a porre rimedio allo smottamento di oggi, non potrà trattenere la frana di domani.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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