Se il giornalismo politico si riduce a propaganda si condanna alla schiavitù

di Rino Nania

Fornisce il riflesso di una omologazione che serve solo a non disturbare il manovratore e riducono la politica a lacchè del capitalismo finanziario

Il giornalismo non serve più a dare notizie, bensì a rappresentare il quinto potere per specchiare un mondo che, liquefatto com’è, deve essere condotto sui binari di una normalizzazione che risponda al meglio in ossequio alla finanziarizzazione della politica. La dimensione francese delle elezioni al primo turno, tenuto domenica 10 aprile 2022, fornisce il riflesso di una omologazione che serve solo a non disturbare il manovratore, ovvero un tecnocrate alla Macron o alla Draghi, laddove questi servano ad impoverire le masse a tutto vantaggio delle oligarchie, ricche e capricciose.

Questi signori, pur non dimostrando grande intelligenza politica ed alcuna visione lungimirante, rispondono alla richiesta dei poteri che pretendono di uniformare la politica riducendola a lacchè di un capitalismo finanziario morente, giunto all’ultimo stadio per prolungare l’agonia in un residuale anelito di sopravvivenza. Seguendo questa logica si conduce la società ad un impoverimento senza più chances utili ad umanizzare le comunità che hanno bisogno di equità economica e solidarietà affettiva.

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Senza questi due ingredienti l’umanità è guidata verso una sorta di inaridimento teso solo a svuotare la dignità delle persone e ad appiattire tutti in una dimensione di rassegnato conformismo. In tutto questo l’esempio proviene dalla Francia e ci viene dato da «Il Foglio» non più diretto da Giuliano Ferrara, che mira ad adottare, per conto terzi, una strategia che si professa di costruire un modo ad una dimensione, dove non ci deve essere né si deve alimentare un pensiero critico, dove vengono scelti gli idioti di comodo da collocare per sempre all’opposizione, dove la politica uniformata non deve compiere scelte a tutela degli interessi generali e deve solo consegnare il passe-partout per meglio narcotizzare le masse ed essere meglio controllate.

Questa forma di giornalismo si rende, così, utile al bisogno di artificiale tranquillità, ovvero di quella che esalta lo slogan di vecchio conio dell’«andrà tutto bene» e riduce la realtà a mera ed illusoria astrazione.

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Sabato scorso alla vigilia delle elezioni francesi, dopo che per mesi ci hanno propinato l’ascesa di Zemmour come nuovo leader di un sistema di ibridazione socio-culturale, «Il Foglio» ha dedicato due pagine centrali del supplemento culturale a due immagini-iconiche del momento, mettendo sulla sinistra Zemmour e sulla pagina di destra Macron, rappresentando fittiziamente un quadro di manipolazione comica come a dover mettere in competizione il presidente uscente all’avversario comodo Zemmour.

Mentre in prima pagina l’artefice ed ispiratore di questa nuova elite, il direttore Claudio Cerasa, sferra un attacco frontale ed a freddo contro la Le Pen, a prescindere da quello che vogliono gli elettori, laddove si arroga di dare una patente di dignità designando in quanto giornale di opinione chi deve essere e chi no a rappresentare il contesto storico che si vive di fronte al multiforme stato di crisi.

Beh … l’esempio dato da questo giornalismo la dice lunga sull’onestà di questo angolo di visuale, perché per un verso le cose non accadono per come vorrebbero e per altro verso si dimostrano soloni senza argomenti per il sol fatto che le loro pagine sono ed appaiono sempre meno credibili e forniscono cattiva prova di propaganda politica, distorcendo e non ascoltando la realtà.

Con tutto questo si fomenta la diserzione dei lettori, si istiga alla rassegnazione in una sorta di appiattimento morale ed esistenziale in cui le speranze devono calpestarsi e la gioia è sempre più in là da venire. Forse questa dimensione, parafrasando Emanuele Severino, avvicinandosi alla morte della politica equivale ad avvicinarsi alla gioia ? … oppure «La Gioia, invece, [laddove] è infinitamente più alta. Non è volontà, ma eliminazione di ogni contraddizione»?

Setaro

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