Eppure in 123 gli hanno detto di «no». Da qui al 2023 lo Stato pagherà anche i 345 parlamentari tagliati dal referendum del 2020
Draghi apre uno spiraglio nel Covid e Mattarella giura per il bis sulla «splendida intesa». Ma il primo è molto stretto e la seconda è durata poco. Il tempo di gioire per la «vittoria di tutti» e ricominciare a beccarsi come i polli di Renzo, mentre la Lega diceva «no» al decreto di quasi riapertura. In verità, che quell’intesa così «splendida» non sia, è facile capirlo. Basta riflettere sul fatto che degli 882 voti della coalizione arcobaleno che lo ha rieletto, Mattarella ne ha ottenuti 759 (86%).
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Tanti, ma il 14% dei suoi potenziali elettori, 123 (22 in più dei 101 che nel 2013 affossarono Prodi) gli hanno detto «no». Per tanta gioia, troppi dissidenti. Di più, i 101 prodiani, sono ancora segnati a dito, i 123 di Mattarella, non hanno avuto neanche l’onore d’essere ricordati nella cronaca dell’evento. La festa, insomma, era per la prosecuzione della legislatura, la salvezza di buste paga e pensioni parlamentari. Anche dei 345 «abusivi» abrogati dal referendum del 2020.
«Draghi cambia marcia: nessuna pietà per i partiti». Hanno ripetuto per l’intera settimana i «giornaloni» soddisfatti. Spero, non pensino sia il caso di preoccuparsene. Detto fra noi, non ne vale assolutamente la pena! Si preoccupano dei propri interessi, più che di quelli dei cittadini, mostrando di non avere in alcun conto la volontà di chi li vota e del Mezzogiorno.
I tagli nel bando del Pnrr
Tant’è che, non sembra che qualcuno abbia protestato perché nel bando del Pnrr siano stati tagliati dal 40 al 29% i fondi della ricerca per le università del Sud e Assaeroporti Sud da 4 mesi attende un incontro per il rilancio degli aeroporti meridionali, con la ministra Carfagna. Eppure, Letta & c., con tutti i problemi che agitano il Paese, si preoccupano della legge elettorale e del ritorno al «proporzionale». Probabilmente per isolare FdI nel centrodestra. Progetto possibile se forzisti e leghisti si lasceranno ingolosire dal fatto che partecipando al governo Draghi, potrebbero, nel caso di successo del Pnrr, trarne dei vantaggi elettorali anche loro.
Già, ma se malauguratamente per il Paese, le cose non dovessero andare come si spera? Il che non è poi, proprio così improbabile. Basta pensare che l’Istat nei giorni scorsi ha chiesto a quasi un milione di imprese: fra 3 e i 9 addetti, cosa si attendono dal Pnrr, sentendosi rispondere che «è inutile». Troppo vincolato a obiettivi di spesa e investimenti come transizione ecologica, infrastrutture e mobilità sostenibile, con orizzonti di sviluppo molto lunghi che con loro c’entrano poco. E che sarebbe stato meglio intervenire sui problemi reali dell’industria.
Il futuro del Centrodestra
Ebbene, se così dovesse finire chi assicura a Lega e FI che – con l’ipocrisia che si ritrova – la sinistra non ne scarichi la responsabilità su di loro che «hanno fatto ostruzione perché il governo fallisse»? Berlusconi, parlando al vertice degli azzurri ha ribadito che per loro «il centrodestra è irrinunciabile». Sa che, se davvero FI e Lega, vogliono avere una voce in capitolo nell’esecutivo oggi e sperare di vincere le elezioni domani, non possono – a prescindere dalla legge elettorale – rinunciare a cuor leggero all’apporto di FdI che il sondaggio Swg del 2 febbraio scorso per la7 segnalava come primo partito in Italia.
Ovviamente, lo stesso discorso vale per i «patrioti» che da soli, pur vincendo, rischierebbero di non andare da nessuna parte. Insomma, FI, Lega e FDI non hanno alternative o stanno insieme o rischiano la marginalità. Sicché è tempo di decidere cosa vogliono fare da grandi. Ma si sbrighino. Le amministrative sono dietro l’angolo.
Detto questo, piuttosto che temere della sorte dei partiti con Draghi – potendo mirare per il 2024 alla presidenza del Consiglio europeo o a quella della Commissione Ue e, per questo, accettarne tutti i diktat – c’è da preoccuparsi, di quella dei cittadini. Tanto più che, il governo, per ottenere i 50 mld di finanziamento previsti per quest’anno, dovrà completare le riforme e realizzare entro dicembre le 59 condizioni concordate con l’Europa. Naturalmente come le vuole l’Ue. Per la quale più che cittadini da rispettare, siamo sudditi da ridurre all’ubbidienza. E «così è, se vi pare»