Pnrr, il 40% di fondi al Sud sono insufficienti, lo dice BankItalia

Negli ultimi 10 anni, la spesa pubblica per investimenti delle regioni meridionali e insulari è oscillata intorno al 30% del totale

Se la misura degli investimenti al Sud previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza restasse quella attualmente programmata del 40% verrebbe mancato l’obiettivo di accorciare le distanze rispetto al Nord del Paese. Gli investimenti in infrastrutture sono il motore dell’economia incidono sulla capacità di crescere di un’economia e sul livello di benessere dei popoli. Le analisi delle principali organizzazioni internazionali attribuiscono in particolare agli investimenti in infrastrutture pubbliche un ruolo trainante per la ripresa economica nell’era post-covid.

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Da queste premesse muove lo studio pubblicato dalla Banca d’Italia e curato da Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller. “I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso”, mette in evidenza un dato: nell’ultimo decennio «in tutte le principali economie avanzate l’accumulazione di capitale pubblico ha subito una battuta d’arresto. In Italia la riduzione della spesa pubblica per investimenti (inclusi i trasferimenti a soggetti privati che realizzano opere pubbliche o di pubblica utilità) è stata particolarmente intensa fra il 2009 e il 2019, passando dal 4,6% al 2,9% del Pil».

Lo studio spiega ancora che «sono diminuite le risorse destinate sia all’ampliamento che alla manutenzione delle infrastrutture, con conseguente allargamento del divario quantitativo e qualitativo rispetto agli altri paesi europei; ne ha risentito la dotazione di capitale pubblico delle aree del paese che già segnavano un ritardo».

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Il mancato investimento in infrastrutture ha ampliato il divario tra Nord e Sud del paese

L’informazione che emerge dall’analisi Bankitalia, basata sull’elaborazione dei dati dei Conti pubblici territoriali (CPT) e che merita particolare attenzione è la seguente: nell’arco dell’ultimo decennio, la spesa pubblica per investimenti, e per contributi agli investimenti delle imprese, delle regioni meridionali e insulari è oscillata intorno al 30 per cento del totale sistema Italia.

Il 30% di risorse destinate a regioni che solo in termini di popolazione residente rappresentano il 34,4% di quella nazionale. Basterebbe già solo questo dato per rendersi conto delle disparità accumulate anno in anno.

Lo studio ci riferisce, altresì, che in termini pro capite nella media dell’ultimo decennio l’entità di tali risorse è stata all’incirca pari a circa 780 euro per le regioni meridionali e insulari, contro gli oltre 940 delle regioni centrosettentrionali. In parole povere, ogni cittadino del Centro-Nord ha ricevuto circa il 20% in più di risorse in termini di investimento infrastrutturale.

Questo si traduce, per fare degli esempi, nel fatto che un cittadino residente in una regione meridionale o insulare ha il 40% di possibilità in meno di accedere ad un ospedale rispetto a un cittadino del centro-nord; che nelle regioni meridionali e insulari la frequenza delle interruzioni senza preavviso del servizio elettrico è più che doppia rispetto al resto del paese; che un cittadino del sud è costretto a pagare molto di più per la raccolta dei rifiuti a causa della minor presenza di impianti per il trattamento della frazione organica.

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Pnrr, al meridione e alle isole dovrebbe essere destinata una quota almeno pari al 45%

Una rilevazione che porta i curatori di questo studio ad affermare inequivocabilmente che «Complessivamente, tenendo conto sia della componente ordinaria che di quella aggiuntiva dell’attività di investimento dell’operatore pubblico, alle regioni meridionali e insulari dovrebbe essere destinata una quota di spesa almeno pari al 45 per cento e in ogni caso sensibilmente più elevata rispetto alla quota della popolazione residente».

All’evidenza di questi numeri si aggiunge senz’altro quella che descrive le grosse difficoltà organizzative che attanagliano le amministrazioni locali del Mezzogiorno. C’è un divario che è legato alla distribuzione delle risorse sul territorio, ma c’è senz’altro un divario che discende dal deficit organizzativo delle Amministrazioni meridionali nel selezionare i progetti e nella esecuzione delle opere.

A determinare l’attuale scenario ha contributo anche l’incompiuta riforma sul federalismo fiscale. Riforma che, così come prevedeva l’elaborazione dei livelli essenziali delle prestazioni, LEP, così prevedeva interventi speciali volti al riequilibrio della dotazione infrastrutturale dei vari territori, la cosiddetta «perequazione infrastrutturale». Si sarebbe dovuto svolgere, in una prima fase, una ricognizione di infrastrutture presenti, ospedali, scuole, strade, etc., per poi individuare dei criteri per la definizione del fabbisogno infrastrutturale, in funzione della densità di popolazione, del deficit di sviluppo, degli insediamenti produttivi, delle rete di telecomunicazione, etc..

Tutto ciò avrebbe contribuito a determinate le modalità di finanziamento da parte delle amministrazioni locali ma, soprattutto, doveva orientare gli interventi speciali di riequilibrio socioeconomico da parte dello Stato. Tutto ciò ad oggi è rimasta lettera morta.

Per ridurre il divario occorre una più oculata distribuzione delle risorse

E se è vero, come è vero, che il nuovo corso della strategia europea, per rispondere alla crisi pandemica, si fonda su un piano di investimenti pubblici senza precedenti nella storia dell’Unione, allora per poter recuperare il divario infrastrutturale tra Sud e Nord del paese non si può prescindere da una più attenta ed oculata distribuzione delle risorse messe in campo con il PNRR.

Analoga riflessione è stata avanzata dallo SVIMEZ, che nel presentare le anticipazioni del Rapporto 2021 sull’economia e la società del Mezzogiorno, aveva espresso l’auspicio che i fondi destinati dal PNRR al Sud siano innalzati almeno al 50%. La politica non può non raccogliere gli spunti offerti dall’analisi della Banca d’Italia, come pure dello SVIMEZ, ed adoperarsi per innalzare la quota di Piano destinata agli investimenti infrastrutturali, il cui effetto moltiplicativo sulla crescita economica del Paese può consentire un reale riequilibrio territoriale.

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