Sulla giustizia è scontro nel M5S. Conte e Bonafede bocciano la riforma ma Grillo blinda l’agenda Draghi

Sulla riforma del processo penale (leggi prescrizione) si sta misurando lo scontro interno al M5S. Il giorno dopo il Consiglio dei ministri che ha segnato la retromarcia dei grillini e l’unità, almeno di facciata, del governo e della maggioranza sul pacchetto di emendamenti del ministro Cartabia, appare sempre più evidente che il vero nodo della questione è altrove e non tanto nella prescrizione. E che questo altrove coincide, appunto, con il futuro del M5S e della sua guida.

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La conferma è giunta proprio ieri dalle parole dell’ex premier Giuseppe Conte che a un incontro di Confindustria giovani non ha avuto parole tenere per la riforma Cartabia: «Apprezzo il lavoro fatto dalla ministra Cartabia ma io non canterei vittoria. Non sono sorridente su questo aspetto della prescrizione, siamo tornati a quella che è una anomalia italiana. Chi canta vittoria non trova il mio consenso».

Conte: «Ci sono mille espedienti per assicurare una durata ragionevole dei processi»

E continuando: «Se un processo svanisce per nulla per una durata così breve non può essere una vittoria per lo stato di diritto. Delle mediazioni erano state offerte, ci sono mille espedienti per assicurare una durata ragionevole dei processi accertando la verità».

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Parole pesanti rese ancora più forti da quelle dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede: «La norma votata ieri, a mio modesto parere, rischia di trasformarsi in una falcidia processuale che produce isole di impunità e che, comunque, allungherà i tempi dei processi. È vero. Parliamo di una norma che non andrà a regime prima del 2024 e che ‘concede’ un po’ di tempo in più per i reati di corruzione. Ma è veramente troppo poco perché è troppo lontano da quello che abbiamo promesso e realizzato».

E concludendo con il giudizio lapidario sul M5S: «Purtroppo, ieri il M5s è stato drammaticamente uguale alle altre forze politiche nonostante fosse trapelata la volontà di un’astensione. Per ripartire, se si vuole veramente ripartire, bisogna avere la consapevolezza dei propri limiti: nell’unanimità improvvisata di ieri che ha visto tutti insieme a tutti, si è inevitabilmente e oggettivamente annacquata una battaglia durata dieci anni».

Se qualcuno stava cercando la conferma dello stato di crisi del M5S, ma soprattutto di quale il livello di scontro celebratosi nel Movimento all’ombra della riforma Cartabia, queste due dichiarazioni hanno dato tutte le necessarie risposte. Altro che retroscena, è evidente che sulla giustizia è in atto il ‘congresso’ tra Grillo e Conte su chi dovrà prendere il controllo del Movimento.

Ed indirettamente arriva anche la conferma che la decisione dei grillini in Consiglio dei ministri di sostenere la riforma Cartabia porti la firma dei Beppe Grillo. Anzi i rumors raccontano che il Garante sia speso in prima persona per perorare il sostegno alla riforma e convincere ad abbandonare la linea dell’astensione, che sembrava ormai decisa e blindata. Invece, alla fine ha prevalso la linea Grillo, anche per il timore che un’astenzione avrebbe potuto indebolire l’Esecutivo e la stessa maggioranza.

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L’ex premier favorevole alla fine anticipata della legislatura

Obiettivi che, invece, secondo molti sarebbero quelli a cui punterebbe Giuseppe Conte da sempre freddo sostenitore di questo governo e favorevole alla fine anticipata della legislatura. E questo anche per evitare quel fisiologico logoramento, soprattutto in termini elettorale, a cui inevitabilmente Conte andrebbe incontro se si andasse a votare tra due anni.

Ecco perché a un certo punto del CdM il premier Draghi ha assunto una posizione dura, probabilmente contattando anche lo stesso Grillo affinchè facesse pressioni sui Cinquestelle, appellandosi alla «lealtà» e al «senso di responsabilità» della maggioranza.

Peraltro, l’ex governatore della Bce sa benissimo che uno dei pilastri del Pnrr è proprio la riforma della giustizia (leggasi lentezza dei processi) e quindi su questo punto non sono ammissibili ritardi o deragliamenti. Per questo bisogna andare avanti spediti, altrimenti il rischio è di perdere queste risorse. Un rischio che l’Italia, ma in particolare Mario Draghi per il prestigio personale che ha investito nella trattativa con l’Ue, non può permettersi.

Ciononostante, la conflittualità è destinata ad aumentare e lo sbarco del provvedimento in Parlamento sarà il contesto nel quale si potrà misurare a che livello è giunto lo scontro interno. E sempre più sarà lo scenario dove questa contesa avrà luogo. Il tutto, naturalmente, sulla pelle degli italiani. Ma questo per molti sembra essere un dettaglio.

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