Letta vede Draghi per chiarire le tensioni. Intanto salta il vertice del Centrodestra: è guerra tra Forza Italia e Coraggio Italia

Incontro chiarificatore tra Enrico Letta e Mario Draghi ma il Pd insiste sulla patrimoniale

Da un incontro che si è svolto ad uno che è saltato. Il primo tra Mario Draghi ed Enrico Letta, il secondo dei leader del centrodestra. Sta tutta qui la giornata politica di ieri vissuta, appunto, tra riunioni che si sono tenute ed altre che non si sono svolte il che dà anche la misura del clima che si respira nel tornante sinistro ed in quello destro della politica italiana.

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Il faccia a faccia tra il segretario del Pd e il premier ha aperto la giornata politica di ieri. Non previsto ma quanto meno doveroso dopo tutto quello che accaduto tra il Partito democratico e lo stesso presidente del Consiglio. A cominciare proprio dallo stesso Enrico Letta che giusto una settimana fa in diretta tv si fece smentire da Draghi in conferenza stampa la proposta di patrimoniale, cioè la tassazione dell’1 per cento sulle successioni dei ricchi, leggasi 5 milioni di euro.

Non è il momento, aveva replicato in diretta Draghi accantonando così la proposta. Poi c’è stata la vicenda del blocco dei licenziamenti, spuntato fuori nottetempo e che ha portato il governo sull’orlo di una crisi diplomatica con Confindustria. «Un’imboscata» l’hanno definita i vertici confindustriali proprio a dare il senso della gravità dell’iniziativa assunta dal ministro Orlando, appunto Pd, che ha impedito il varo del decreto legge per giorni.

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E infine il fuoco di sbarramento contro il decreto Semplificazioni, proprio ieri è stata trovata l’intesa sull’esclusione del minimo ribasso e oggi dovrebbe svolgersi il CdM pe approvarlo, e in particolare la revisione della normativa del Codice degli appalti per snellire procedure e burocrazia. Insomma, tanti temi che in questi giorni avevano creato tensioni e accumulato malumori che non potevano non trovare un momento di riflessione e chiarimento.

E così si giunge all’incontro di ieri mattina del quale Enrico Letta ne ha ricavato una lettura positiva: «Lungo e proficuo colloquio a Chigi con Draghi. Sintonia piena e determinazione ad accelerare le riforme su giustizia, fisco, lavoro e semplificazioni che sono alla base del patto con l’Ue, riforme per le quali porteremo le nostre idee e troveremo le migliori sintesi. Avanti».

E sui temi di lavoro: «Con Draghi abbiamo parlato delle grandi riforme, quella della giustizia, che è importantissima, la riforma del fisco, dentro cui noi proporremmo varie idee, fra cui quella sulla successione per i patrimoni più ricchi, poi le semplificazioni, il mercato del lavoro. Con Draghi abbiamo condiviso un metodo, noi portiamo le nostre proposte, lavoriamo nella stessa direzione».

Quindi tutto risolto? Ni, perché è evidente che le tensioni di questi giorni abbiano lasciato quantomeno qualche ruggine. Al di là della profonda irritazione di Draghi resta la delusione del premier il quale non si attendeva che proprio Letta, che conosce bene, si rendesse protagonista di polemiche divisive e abrasive. Insomma, aveva messo in conto che Salvini alzasse steccati ma non di certo Letta, che sta dando alla sua segretaria una forte connotazione ideologica identitaria di sinistra.

Ecco perché l’incontro di ieri non risolve i problemi, ma è servito semplicemente a metterli a nudo anche perché Letta uscendo dal faccia a faccia ha ribadito che si va avanti con le proprie idee. Sulla patrimoniale, ad esempio, concedendo al massimo che questa sia discussa all’interno di una riforma più ampia del fisco. Quindi, avanti il che significa anche nel senso delle tensioni e delle inevitabili polemiche alle quali al massimo sarà consentito di mettere il silenziatore.

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Da un incontro svolto ad uno mancato, quello che ieri avrebbe dovuto vedere riuniti attorno a un tavolo i leader del centrodestra. Riunione poi saltata. All’inizio la Lega si è preoccupata di informare e giustificare il mancato incontro chiarendo che è stato «rinviato per motivi organizzativi, anche con l’obiettivo di avere nuovi elementi sui potenziali candidato».

Passano le ore e la verità viene fuori: «Bene ha fatto Matteo Salvini a sconvocare la riunione prevista per oggi. Forza Italia non parteciperà ad alcun vertice con chi, violando gli accordi di coalizione e l’invito rivolto nel corso dell’ultima riunione, ha promosso un’iniziativa fondata sul trasformismo e sul cambio di casacca di parlamentari che, peraltro, non sarebbero stati ricandidati».

Altro che supplemento di riflessione sui potenziali candidati il vertice è saltato per lo scontro durissimo in corso tra Forza Italia e la nuova formazione politica di Luigi Brugnaro e Giovanni Toti, che proprio nella mattinava avevano tenuto a battesimo, ‘Coraggio Italia’. Movimento che alla Camera dei deputati sottraendo 11 deputati ha superato la soglia dei 20 parlamentari per costituire il gruppo.

Evidente e chiara la rabbia degli azzurri che temono, complice anche lo stato di salute precario di Berlusconi, di essere fagocitati dalla nuova creatura. Un momento delicatissimo come confermato anche dal fatto che lo stesso Cavaliere alla fine rompe il silenzio e fa trapelare la sua delusione e irritazione perché «Forza Italia è al governo, è forte, è un errore andar via. Così si rischia di indebolire il partito azzurro appena tornato in maggioranza con il governo Draghi di unità nazionale».

Comunque sia il progetto del duo Brugnaro-Toti va avanti e il governatore della Liguria anzi rilancia: «Saremo al prossimo vertice del centrodestra. Nessuno può pretendere di escludere un pezzo dell’elettorato moderato in virtù di quarti di nobiltà inesistenti. Noi di ‘Coraggio Italia’ siamo saldamente e convintamente nel centrodestra e restiamo leali. Se qualcuno vuole continuare a giocare al ‘meno siamo, meglio stiamo’ non gioca la nostra stessa partita».

Parole che non promettono nulla di buono e che anzi pongono un grosso problema in vista del prossimo incontro del centrodestra, che probabilmente sarà la prossima settimana. Per allora bisognerà sminare il campo, anche perché il centrodestra deve sbrigarsi. A Napoli, ad esempio, Gaetano Manfredi è ritornato sui suoi passi e si candiderà. Mentre il pm anticamorra Catello Maresca ha avviato la campagna elettorale, ma è necessario che il centrodestra faccia un passo e ci metta la faccia. Senza dimenticare Roma e Milano, dove Michetti e Racca continuano ad essere in pole per la candidatura a sindaco ma su cui è indispensabile prendere una decisione definitiva.

Se ne parlerà la prossima settimana, perché oltre non è più possibile andare altrimenti si metterebbe troppo a rischio l’esito delle amministrative. E anche se è vero che sul governo non avranno effetto, un centrodestra perdente in tutte le principali città non sarebbe certamente un bel biglietto da visita in vista delle politiche del 2023. E forse anche per il futuro e la tenuta della coalizione.

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