Sarà anche, come l’ha definito la leader di Fd’I, Giorgia Meloni «il provvedimento più significativo della storia repubblicana», ma Draghi, la “grande ammucchiata” e la stampa allineata stanno trasformando il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in una sorta di opera buffa.
Senza rendersi conto che, così, ne stanno ulteriormente minando la credibilità e l’effettività, già – a dispetto degli osanna dei diretti interessati – ai minimi termini. Con ordine: se ai tempi della scuola c’insegnarono che «la matematica non è un’opinione», con ciò che stanno narrando con Recovery fund e Pnrr, paiono volerci confermare che invece i numeri lo sono.
Al momento dell’attribuzione delle risorse agli Stati membri, nel luglio 2020, l’Ue ci attribuì 209miliardi. Poi, per l’andamento del Pil 2020 questa dotazione fu ridotta a 191,5 miliardi, ma Draghi ne aggiunse altri 30 nazionali (per i progetti compatibili, ma non finanziati, con il piano) portando, così, il totale a 221,5 miliardi (questo secondo la prima bozza ufficiale di Pnrr il 25 aprile us, ndr). Il giorno dopo, con un’ulteriore aggiunta di 26 miliardi – da investire, però, nel 2032, – i fondi disponibili, hanno toccato quota 248miliardi.
Ma non finisce, qui. C’è, infatti, una situazione ancora più paradossale: quella che riguarda il Mezzogiorno. Anche i numeri dell’Italia del tacco, infatti, variano con una velocità impressionante. Tant’è che, proprio giovedì stando al quotidiano diretto da Roberto Napoletano, erano giunti ad una vetta impressionante e da capogiro: 231,2 miliardi. E scusate se è poco.
Ovviamente non tutti rivenienti dal Recovery, altrimenti non sarebbe rimasto niente per gli altri, bensi: 82miliardi da Pnrr; 60 dai fondi strutturali 2021/2027; 24 residuo fondi coesione e sviluppo 2014-2020 e cofinanziamente nazionale, già programmati, ma non ancora impegnati e 35 dal fondo sviluppo e coesione 2021-2027 e cofinanziamento nazionale; 8,4 Read Eu; 9,4 per l’alta velocità Salerno – Reggio Calabria; 12,4 restituzione fondi risorse utilizzate nel Pnrr sull’ultimo scostamento di bilancio (ovviamente quando arriveranno da Bruxelles, ndr).
E la Uil, sottolinea che nella tabella “il Mezzogiorno nel Pnrr” inviata dal Governo alle Camere è scritto che il Sud è desinatario di circa 82 miliardi di euro, il 40% del totale del recovery comprensivo del fondo complementare, cifra e percentuale, per altro, ribadite anche da Draghi nel suo discorso alle Camere. Ma se è cosi, secondo il sindacato, all’Italia del tacco mancherebbero ancora 6,8miliardi, il 40% di 222,1 miliardi (Pnrr e Fondo) ammonta a 88,8miliardi. Quanta ingordigia! Fa niente, in fondo, cosa sono 7 miliardi di fronte a 231?
Dite la verità, tutte queste cifre non vi fanno girare la testa? Al sottoscritto, un po’ si. Ma soprattutto, fanno rabbia. Sembra, infatti, di star ascoltando per l’ennesima volta una canzone già sentita milioni di volte e così antica da essere incisa su un disco in vinile. Un dolce sogno che – cosa che tutti nascondono – rischia di svanire come una bolla di sapone, lasciandoci fra le mani le briciole (si fa comunque per dire, ndr) dei vecchi fondi strutturali.
Il Recovery fund, infatti, prevede, per la raccolta delle risorse finanziarie di approviginarsi ai mercati finanziari con i Bond, ma per questo è necessario l’accordo di tutti i 27 Paesi aderenti. Al momento, però, ad aver detto «sì» sono soltanto 17, ne mancano, quindi, ancora 10. E il «sì» di: Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia è tutt’altro che scontato.
E quest’ultima, martedì scorso ha stabilito (ritenendo il New Generation Eu un nuovo trasferimento di poteri all’Ue) che per ratificarlo servirà la maggioranza qualificata dei 2/3 dei 200 seggi del Parlamento. Sicchè, la 35enne premier Sanna Marin dovrà cercare qualche voto fra i deputati dell’opposizione. E per la leader di un governo che non riesce a trovare la quadra per il bilancio e rischia la crisi, non sarà facile. Draghi, quindi, avrebbe potuto tranquillamente dare ai parlamentari una settimana di tempo in più per leggere il Piano ed approvarlo in piena “scienza, coscienza e conoscenza”. Perché tanta fretta?
E per finire una riflessione su quello che potrebbe accadere nel caso dovesse verificarsi lo scenario peggiore: la bocciatura del Next Generation Eu. I fondi strutturali a disposizione del Sud, sono – come potete vedere dalle cifre suindicate – ben 131,4miliardi. Che non sono certamente pochi, ma potremmo rischiare, di perdere anche questi o di utilizzarli – come avvenuto nel passato – in misura soltanto parziale e non certo in quella maggiore.
Perché, se ieri che avevamo solo le risorse strutturali europee le abbiamo perse, per insufficienza di progetti o per mancanza dell’indispensabile confinanziamento nazionale – in assenza del quale quelle somme restano bloccate nelle casseforti di Bruxelles – come riusciremo ad utilizzarle ora che tanto impegnati a salire sul carro del recovery, non ci siamo neanche posti il problema di come spendere i fondi di sviluppo ordinari?