Il passaporto vaccinale europeo tra coesione e libera circolazione 

Da quando la Grecia ha suggerito che a ogni cittadino vaccinato contro il Covid possa essere consentito di viaggiare liberamente in tutti i Paesi dell’Unione senza dover subire alcuna restrizione, la Commissione esecutiva ha avuto un’intuizione geniale: l’istituzione di un passaporto sanitario europeo.

Concretamente si tratta di un documento digitale o cartaceo, dotato di un codice Qr che indicherà se si è vaccinati o meno, i risultati dei test negativi o la guarigione. Se al momento non è previsto l’obbligo di vaccinazione, gli Stati membri rimangono liberi di richiedere un test o una quarantena, fino ad arrivare a richiedere prova dell’avvenuta vaccinazione per l’ingresso sul loro territorio.

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Ma la creazione di un tale documento su scala europea, oltre a sollevare una serie di problematiche di ordine tecnico ma soprattutto giuridico, costringe le istituzioni europee a una sorta di retromarcia dal momento che, de facto, verrebbe sconfessata una delle conquiste del sofferto trattato di Maastricht: la tanto celebrata istituzione di quell’area di libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali, a ben vedere il solo traguardo che, a tutt’oggi, possa vantare Bruxelles nel lungo e (troppo) lento cammino verso la costruzione di un’Europa unita.

Oltre alle implicazioni di ordine dottrinale comunitario, la conseguenza più grave di questo passaporto vaccinale è rappresentata dal fatto che un elemento che concerne la sfera privata, in questo caso di ordine sanitario, potrebbe determinare l’esclusione sociale di parte della popolazione.

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Potranno a questo punto esserci cittadini vaccinati che godranno per intero di diritti e cittadini non vaccinati a cui questi stessi diritti verranno preclusi.

Libertà è il diritto di fare tutto quello che non nuoce agli altri e, nel caso di questo passaporto, si troverebbe ridotta nell’ipotesi della mancata realizzazione del vaccino o di uno stato civile non giustificato da un documento ufficiale.

Le leggi quindi non saranno più uguali per tutti perché il vaccino le ridurrà per alcuni e le estenderà per altri. Proprio nel momento in cui, dopo decenni di disparità di trattamento fondate su differenziazioni giuridiche, spesso arbitrarie, materie come quelle concernenti i portatori di handicap ad esempio o l’uguaglianza uomo/donna, che stavano per essere regolamentate in maniera equa e completa, con l’istituzione di questo passaporto vaccinale subirebbero una preoccupante battuta d’arresto.

Indirettamente quindi, ma senza dubbio alcuno, i cittadini non vaccinati si troverebbero privati del diritto di intraprendere, di quello di lavorare, privati della liberta di potersi spostare o del diritto al rispetto della propria vita privata a familiare.

Questo certificato numerico verde, presentato qualche giorno fa in conferenza stampa da Ursula ven der Leyen a Bruxelles, molto prosaicamente dovrebbe costituire il mezzo per «ristabilire la libertà di circolare nell’Unione europea in modo sicuro, responsabile e affidabile».

Ristabilite le regole di Schengen, verificata la difficoltà nella gestione solidale della pandemia, il Covid sembra suonare come un preoccupante segnale d’allarme per l’Unione.

Se osserviamo infatti il disordine con il quale gli Stati europei, senza una vera visione d’insieme, hanno ristabilito le frontiere richiudendosi entro il loro quadrato nazionale, sorge spontanea una considerazione finale: tutto quello che sovranisti, euroscettici ed euro realisti non erano mai riusciti ad ottenere, nello spazio di pochi mesi è stato invece realizzato da un virus pandemico che, purtroppo, non siamo stati ancora capaci di affrontare.

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