Oggi iniziano le consultazioni. Conte freme per il reincarico ma Renzi potrebbe lanciare Di Maio premier

Adesso si naviga in mare aperto. Giuseppe Conte come un trapezista spericolato sta per volteggiare nel grande circo della crisi di governo 2021 senza rete di protezione. E’ questa la situazione in cui si trova l’ormai ex premier dopo aver deciso di dimettersi. Una decisione presa già nella serata di lunedì e poi formalizzata in un Consiglio dei ministri, stranamente convocato di mattina, che si è tenuto ieri. Infine, sempre ieri verso pranzo l’atto formale delle dimissioni con la salita al Quirinale e un incontro di circa mezz’ora con il Capo dello Stato.

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E per tutta la giornata si era vagheggiato di una sua conferenza stampa o di un video messaggio su Facebook che avrebbe dovuto rivolgere un appello alla Nazione e in un certo qual modo chiudere quella narrazione orchestrata da Casalino e che si è snodata lungo tutto il lockdown, e che ha reso Conte sempre un po’ meno avvocato e sempre un po’ più personaggio.

Alla fine in serata però esce soltanto un lungo post su Facebook nel quale Giuseppe Conte ripete quanto già detto in Parlamento lunedì e martedì scorso nel corso della discussione di fiducia. In primo luogo, la ragione delle sue dimissioni, per favorire la nascita di un governo che offra una «prospettiva di salvezza nazionale».

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E per fare questo Conte evoca «un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, in grado di attuare le decisioni che premono, per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e le riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva, che garantiscano il pluralismo della rappresentanza unitamente a una maggiore stabilità del sistema politico».

Mattarella e Conte

Infine il passaggio, che più volte ha ripetuto in questi giorni, a una «prospettiva chiara e un governo che abbia una maggioranza più ampia e sicura», il tutto legato alla consapevolezza che il Paese sta attraversando una crisi profonda e una fase di vera emergenza. L’estremo tentativo per smuovere quei parlamentari che avrebbero dovuto rappresentare la quarta gamba della maggioranza in sostituzione di Italia Viva e che finora non si sono mai mossi.

Nicola Zingaretti

Ci riuscirà adesso che siede a Palazzo Chigi soltanto per il disbrigo degli affari correnti? E’ questa la domanda che si pongono tutti e sulla cui risposta si potrà edificare o meno il Conte ter. Ed è anche questa la risposta che attende di conoscere il Capo dello Stato Mattarella per dare l’incarico a Giuseppe Conte.

Quello che appare evidente a poche ora dall’inizio delle consultazioni è che nulla è deciso e soprattutto che nulla è nella piena disponibilità di Conte che, anzi, probabilmente nella salita di ieri mattina al Quirinale si è reso conto che questa crisi è tutt’altro che pilotata, e che più al buio di così non poteva. Lo scenario che avrebbe voluto evitare e che invece si è materializzato.

Tutto è, quindi, nelle mani di Mattarella (ma vedremo non solo nelle sue) che punta a fare presto, come peraltro aveva ripetuto allo stesso Conte una decina di giorni fa. Le consultazioni inizieranno già oggi per chiudersi venerdì pomeriggio. Un allungamento dei tempi complice la Giornata della Memoria (oggi) e l’apertura dell’Anno giudiziario (venerdì mattina), due appuntamenti a cui Mattarella non ha intenzione di rinunciare. Sarà in questo arco di tempo che il Capo dello Stato cercherà di capire se intorno a Conte si è formata quella maggioranza, che al Senato come ha detto Franceschini deve arrivare almeno a 170 senatori, per consentire di avere il terzo incarico per formare il governo.

Nel frattempo i vari partiti stanno iniziando a disporsi sul campo. E secondo uno schema prevedibile Pd, M5S e Leu hanno già detto chiaramente che il nome che faranno a Mattarella è quello di Conte. Per la verità la posizione del Pd non è granitica, tanto che il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci (da sempre tacciato di renzismo) a cronisti dice: «Non c’è un Conte a tutti i costi, credo ci sia il buonsenso che ci deve guidare e ci guida oggi in quella direzione». Tranne poi chiarire: «Il mio giudizio su Conte è positivo e credo che il buonsenso porti naturalmente verso un Conte ter. Il Pd deciderà la sua posizione nella direzione convocata domani».

Movimento 5 Stelle
Luigi Di Maio e Vito Crimi

Piccole sfumature che però sono indicative di un caleidoscopio di posizioni interne al Pd sul reincarico a Conte. I dem da un lato, infatti, sarebbero tentati di disfarsi per strada di Conte per evitare che una volta arrivato premier alla fine della legislatura si candidi con una propria lista sottraendo voti preziosi al Pd. I sondaggi parlano di quasi 5 punti percentuali risucchiati da una Lista Conte, che farebbero precipitare il Pd al quarto posto dietro anche a Fratelli d’Italia. E quindi non sarebbe meglio utilizzare questo passaggio per liberarsi definitivamente di Conte? Forse sì, ma c’è il timore che Conte possa essere quell’unico cuneo che tiene in piedi questa Legislatura e che senza di lui la situazione si possa avvitare fino alle elezioni anticipate.

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Anche nel M5S si vive lo stesso tormento, chiaramente sempre a taccuini e microfoni ben chiusi. Tutti con Conte perché, come dice Vito Crimi ai gruppi parlamentari Cinquestelle riuniti, «non ci sono alternative a Conte». Tranne riflettere in privato che anche per il M5S un Conte premier fino alla fine della Legislatura e candidato con una propria lista porterebbe i Cinquestelle al tracollo e per molti (vedi Di Maio) potrebbe rappresentare la pietra tombale sulle aspirazioni di leadership. Ma anche in questo caso la preoccupazione che senza Conte tutto possa franare spinge a grande cautela.

Matteo Renzi

E veniamo a Matteo Renzi, colui che ha il banco di tutta questa crisi e che davvero potrà decidere il Conte ter. Da Italia Viva non è giunto il tanto sospirato, per Conte, via libera. «Prima il programma condiviso» poi il nome. Questa la posizione dei renziani che guardano a «un governo serio, di legislatura, che dia risposte concrete e non evasive alle sfide drammatiche della pandemia e assicuri la ripresa».

Matteo Renzi cita Conte soltanto in un’occasione, quando deve spiegare che «il presidente Conte ha preso atto di non avere i numeri e si è dimesso. Arriva un momento in cui la verità si afferma sulle veline. E in quel momento diventa chiaro a tutti che la politica è una cosa diversa dal populismo. Italia Viva sarà sempre la casa di chi rifiuta le veline, di chi rifiuta il populismo».

Queste sarebbero le parole di uno che giovedì pomeriggio dovrebbe indicare il nome di Conte come premier? Certo che no. La verità è che senza un atto politico è difficile che Italia Viva chiuda sul nome di Conte. Piuttosto la mossa del cavallo da parte di Renzi sarebbe quella di gettare in campo il nome di Luigi Di Maio come premier, una proposta che avrebbe il merito di compattare i Cinquestelle, che chiaramente non potrebbero rifiutare, e su cui il Pd difficilmente potrebbe dire no. Infatti, con un premier targato M5S i dem potrebbero andare ad occupare poltrone di peso come gli Interni e la Giustizia.

Ecco il punto o se vogliamo la svolta che potrebbe avere la crisi, quella di un premier targato Cinquestelle che se non riuscì a Salvini nell’agosto 2019, potrebbe stavolta a Renzi. L’ennesima giravolta dell’ex sindaco di Firenze che in questo modo consentirebbe alla legislatura di andare al termine e allo stesso tempo di estromettere Conte per sempre. Fantapolitica? Vedremo, ma quello che è certo è che senza un fatto politico Conte difficilmente potrà convincere Mattarella ad avere un reincarico.

Fatto politico che è quello di raggiungere la maggioranza assoluta che consenta al governo di andare avanti senza problemi in Aula e in Commissione. E per fare questo dovrà nascere quel gruppo parlamentare di ‘volenterosi’ di cui si parla da settimane ma che finora nessuno ha visto.

A dir la verità ieri sera è stata annunciata la nascita al Senato del gruppo ‘Europeisti-Maie-Centro democratico’ con la firma di dieci senatori con fuori la moglie di Mastella. Ma guardando i nomi ci si accorge che molti già da tempo votano la fiducia al governo e soprattutto mancano quei senatori che da Forza Italia e Italia Viva avrebbero dovuto dare quel sostegno decisivo a Conte. Insomma, i numeri continuano ad essere quelli di martedì scorso e che dicono che Conte non ha la maggioranza assoluta.

Tajani, Salvini e Meloni

Ecco se il fatto politico è il gruppo parlamentare che è nato, le speranze di un Conte ter si affievoliscono. E lo sono ancora di più anche alla luce della compattezza che sta dimostrando il centrodestra, che non presta alcuna sponda agli appelli contiani. «Non c’è alcuna possibilità che noi… Che chiunque di noi sostenga Giuseppe Conte. Non c’è alcuna possibilità che ci sia tra noi chi ritiene che questo governo possa andare avanti e continuare i danni che ha moltiplicato da quando sta in sella», ha ribadito Giorgia Meloni.

E così anche Matteo Salvini: «Tirare a campare governando con Renzi, Di Maio, Zingaretti? No grazie. Entro venerdì gli italiani sapranno se Conte ha i numeri o meno. Se non ha i numeri, è meglio usare due mesi per ridare la parola agli italiani». Solo Forza Italia lascia un piccolo spiraglio perché Antonio Tajani ripete: «Vediamo se c’è la possibilità di affrontare questa sfida insieme, altrimenti, se non c’è la possibilità di fare nulla allora si andrà a votare».

Comunque ben poco per pensare di varare quel governo di salvezza nazionale che Conte dice di voler far nascere. Quello che è certo è che se si superasse la domenica questo vorrebbe dire che per Giuseppe Conte il terzo reincarico si allontana e che la crisi inizia a prendere una piega pericolosa. E’ allora che Renzi potrebbe fare la mossa del cavallo, ritornando in partita e dando le chiavi del governo a Luigi Di Maio. Ma prima l’ex premier fiorentino dovrà giocare bene le sue carte e far valere la forza del banco.

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