L’immagine è a dir poco agghiacciante. Di quelle che non avresti mai voluto vedere. Ma, per altri versi, è «educativa». Ti dà la dimensione dell’animo umano. Fino a che punto si può spingere l’uomo contro un suo simile. Senza una seria motivazione, senza un logico perché. Forse per piacere o per autoesaltazione.
Il riferimento è al poliziotto americano che con determinazione, e senza alcuno scrupolo o preoccupazione, che comunque la sua divisa gli avrebbe dovuto imporre, tiene premuta la testa di un uomo nero – per lui forse ancora uno «sporco negro» – per ben cinque minuti sotto il ginocchio della sua gamba. Il povero malcapitato chiede ripetutamente, ma invano, all’agente di togliere il ginocchio urlando «non posso respirare». Si vede il viso del disgraziato tumefatto, senza alcuna possibilità di alitare. E purtroppo non ce la farà a sopravvivere in quella terribile posizione. Morirà per soffocamento. Ucciso dalla «legge» che lo doveva tutelare.
La notizia non sarebbe circolata se non fosse stato per un video girato da una passante, che poi l’ha caricato sulla sua pagina Facebook. Tutto sarebbe rimasto in un verbale di polizia, che probabilmente avrebbe raccontato sciocchezze sul «negro» che avrebbe commesso chissà quali terribili nefandezze contro gli agenti, costretti a difendersi. E tutto sarebbe finito, forsanche con un elogio, nelle scartoffie dell’ufficio di polizia. E, invece, il benedetto video postato su Facebook ha alzato il velo su una brutta storia.
L’afroamericano ucciso si chiamava George Floyd ed aveva circa 40 anni, era padre ed è stato descritto come un dipendente modello dal proprietario del Conga Latin Bistro dove lavorava come guardia di sicurezza. Al momento del vile atto dell’agente di polizia era disarmato ed ammanettato, già con la faccia a terra quando il poliziotto gli ha messo il ginocchio sul collo. Insomma, non c’era alcun pericolo che potesse far del male, che potesse essere pericoloso, che potesse fare una bravata. Se ne stava per fatti suoi e mai e poi mai avrebbe lontanamente ipotizzato che quello per lui sarebbe stato l’ultimo giorno di vita.
La sua morte però non sarà dimenticata. L’America, quella democratica, quella che crede in certi valori, tramite quel video postato su Facebook, è scesa in campo. Ha voluto dimostrare solidarietà a quella povera vittima che non doveva morire. No, non lo meritava per mano della «legge», a causa di un poliziotto che aveva giurato per il perseguimento di certi valori, di libertà, di uguaglianza, di giustizia sociale. Ma non solo il poliziotto che materialmente ha ucciso George Floyd deve ritenersi responsabile per quell’atto inqualificabile, anche i suoi tre colleghi che non si sono nemmeno lontanamente posto il problema di fermarlo, di evitare un omicidio assurdo.
Il sindaco Jacob Frey di Minneapolis, dove si sono svolti i fatti, un democratico, ha annunciato il licenziamento dei quattro agenti coinvolti che, come mostra il video, non hanno dato ascolto all’uomo che gridava «non respiro», né ai passanti che chiedevano di togliere il ginocchio dal collo dell’uomo. Sul caso, oltre all’agenzia investigativa del Minnesota, sta indagando l’Fbi. Va ricordato che all’inizio di questa brutta storia la polizia aveva dichiarato che l’uomo aveva «opposto resistenza all’arresto».
C’è chi ricorda che il veloce licenziamento degli agenti contrasta con il comportamento tenuto da polizia ed autorità locali di fronte ad altri casi di uccisione di afroamericani da parte di poliziotti, che negli anni scorsi hanno fatto nascere il movimento di proteste «Black Lives Matter».
Stiamo parlando dell’America faro di democrazia nel mondo. Eppure capitano atti inqualificabili del genere.
La storia è venuta fuori per caso, per combinazione. Sicuramente i quattro agenti licenziati si riterranno degli «sfortunati» e non si capaciteranno del perché del loro allontanamento quando fatti del genere capitano ogni giorno. Malediranno chi si è preso la briga di filmare il loro arresto e postarlo su Facebook, ma soprattutto l’ipocrisia del sindaco che non ha avuto il coraggio di difenderli, loro che stavano dalla parte della «giustizia».
Questa triste vicenda mette in luce l’abissale distanza della democrazia annunciata da quella praticata. Ovvero, nei comportamenti di tutti i giorni noi, che ci riteniamo democratici, spesso non ci comportiamo come tali. E, probabilmente, difronte allo scempio compiuto da quei quattro poliziotti avremmo girato la faccia dall’altra parte e… via.
Elia Fiorillo