L’Italia è diventata la terra promessa per gli immigrati e per i profeti della Bibbia. Grazie al governo giallorosso

di Armando Mei

La nuova puntata de «Il Decreto», l’ennesimo dall’inizio della crisi Covid-19, si è contraddistinto per pathos e sentimentalismo. Per carità, nulla questio sull’argomento, poiché ciascuno manifesta le proprie sensibilità nei modi e nelle forme che ritiene più appropriati e, questo vale anche per la Bellanova. Tuttavia, se proprio vogliamo dircela tutta, da un Ministro della Repubblica, ci si attende sempre  una maggiore sobrietà e autorevolezza. In ogni caso, al di là dei siparietti, più o meno propagandistici, ciò che alimenta la preoccupazione o la tranquillità – a seconda dei punti di vista – è la prospettiva di veder regolarizzati una quantità industriale di nuovi (e vecchi) immigrati non regolari.

Facciamo immediatamente chiarezza, a scanso di equivoci, Il mio slogan è: no all’odio razziale! No all’intolleranza e alle discriminazioni verso i popoli provenienti da altri continenti!

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Ciò detto, il fenomeno delle migrazioni ha sempre contraddistinto la storia dell’uomo, sia nell’antichità, sia nelle epoche moderne e contemporanee. La ricerca del benessere, di condizioni migliori di vita è una caratteristica innata nell’uomo, oserei dire quasi come l’istinto di sopravvivenza. Ed è altrettanto indiscutibile che nei paesi dell’Africa subsahariana, questa esigenza sia ancora più travolgente, perché da sempre vessate da lotte intestine, carneficine, massacri e sfruttamenti. Questa profonda degenerazione sociale genera, come naturale contropartita, la necessità di trovare nuovi porti sicuri e, quelli italiani sembrano essere i più ambiti.

Oggi, l’Italia rappresenta la Terra Promessa degli immigrati e dei profeti della Bibbia o, ancora, la porta del paradiso che si spalanca ai derelitti provenienti dai cerchi più infimi dell’inferno…

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Ma tutto questo, come si concilia con la stabilità sociale ed economica.

Ci sono eminenti studiosi che da decenni, analizzano il fenomeno migratorio e cercano di sviluppare modelli socio-economici per stabilire quale sarà l’impatto sul lungo periodo. Il risultato, alla fine, conduce sempre alle medesime conclusioni:

  • Una migrazione controllata conduce ad una migliore integrazione sociale favorendo la continuità e la progressione dei modelli di sviluppo;
  • Una migrazione clandestina ed incontrollata è foriera di tensioni sociali, di limitazioni dei processi di integrazione e riduzione dei livelli di sicurezza. Inoltre, non favorisce – bensì – arreca pregiudizio ai modelli di sviluppo, favorendo livellamenti verso il basso.

Proprio a febbraio di quest’anno, Matteo Villa, nel suo libro ‘The Future of migration to Europe’ propone alcuni dati estremamente interessanti. Egli evidenzia, infatti, che «Al 21 novembre 2019, 90.744 immigrati hanno attraversato il Mediterraneo rispetto alle 108.146 dei primi 11 mesi del 2018. È improbabile che tali traiettorie cambino significativamente a breve termine. I futuri disordini nei paesi di partenza e, in misura minore, gli stati di transito che attualmente cooperano con l’UE per arrestare i flussi migratori, potrebbero tuttavia innescare nuovi picchi nella migrazione verso nord». Dobbiamo prepararci ad una vera e propria invasione? E quale sarà l’impatto sugli equilibri sociali?

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Migration Policy Debates, OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) a maggio del 2014 – ma la medesima tesi è argomentata anche ai nostri giorni – annotava sul bollettino annuale che «In Europa la libera circolazione delle migrazioni aiuta a risolvere gli squilibri del mercato del lavoro… I migranti contribuiscono più in termini di tasse e contributi sociali di quanto non ricevano in benefici individuali… La migrazione contribuisce a stimolare l’innovazione e la crescita economica».

La tesi, tuttavia, focalizza l’attenzione sulle migrazioni di ‘qualità’, ovvero considera l’impatto dell’immigrazione regolare, che viene assorbita progressivamente nel tessuto economico-sociale di una nazione. Essa esclude l’immigrazione clandestina che finisce per impattare negativamente sulle condizioni di vita generale e,  nel lungo periodo, finisce per alimentare conflitti sociali tra le classi più deboli e socialmente ai margini.

E’ una preoccupazione legittima? I fatti sembrano sostenerla. Tensioni sociali tra irregolari e cittadini sono all’ordine del giorno, così come le rivolte nei centri di accoglienza. Il fuoco cova sotto la cenere e il problema coinvolge tutti gli stati del Vecchio Continente, compresa la Svezia da sempre considerata un paradiso a se stante (BBC del 22 febbraio 2017). Il rischio è che gli Hotspot per gli immigrati si trasformino in nuovi campi profughi su suolo europeo, con tutte le conseguenze del caso, come in Grecia dove sono già scoppiate feroci rivolte.

La realtà è che gli Stati Europei non sono pronti ad affrontare l’emergenza con adeguati strumenti di sostegno e le decisioni politiche e legislative sono finalizzate ad opportunistiche e demagogiche sanatorie piuttosto che al complicato obbiettivo di garantire il benessere a tutti i cittadini (migranti regolari compresi, che sono cittadini a tutti gli effetti di legge).

La soluzione al problema migratorio ha una sola linea guida, una politica europea comune ripulita da proclami e atti legislativi improduttivi, ideologici e/o demagogici, altrimenti le lacrime le verseremo noi, da qui a non troppo tempo.

Setaro

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