Lavoratori American Laundry sul tetto della Federico II, il 18 maggio tavolo istituzionale in Prefettura. A rischio oltre 300 posti di lavoro a Napoli

Da giorni stavano protestando con presidi, anche notturni, alla Federico II e questa mattina ne hanno scalato il tetto per ribadire che non intendono perdere il proprio posto di lavoro e vedersi strappare di mano il loro futuro e quelle delle loro famiglie. E soprattutto adesso, dopo aver lottato, senza aver mai fatto mancare il proprio contributo, contro il Coronavirus. Sono i lavoratori dell’American Laundry di Melito cui la Soresa – in seguito ad una sentenza del Consiglio di Stato – aveva revocato l’appalto, affidandolo all’Hospital Service di Chieti.

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E bisogno riconoscere che la «scalata al tetto» ha funzionato, la Prefettura di Napoli ha deciso di convocare per il giorno 18 maggio alle ore 15, presso la propria sede, un tavolo istituzionale per discutere con loro, le due aziende interessate: American laundry, Hospital service, le organizzazioni sindacali e l’Azienda ospedaliera Federico II, delle problematiche correlate all’appalto Federico II e a seguire del personale impegnato nello stabilimento di Melito. Nella speranza che per quella data si arrivi a soluzione del problema, della questione abbiamo discusso con il rappresentante Salvatore Pomo dell’Ugl.

Cominciamo dall’inizio, come siamo arrivati a questo punto?

«E’ successo che la Hospital Service Srl di Chieti, subentrante all’American Laundry, nell’appalto del servizio di ritiro, consegna e trasporto di biancheria, camici, kit di sala operatoria, materassi e guanciali, presso i presidi ospedalieri napoletani non intende applicare la clausola sociale della ricollocazione del personale già operante nelle stesse strutture con l’azienda che garantiva il servizio in precedenza. A suo dire, infatti, la gara sulla cui base si è aggiudicata l’appalto non la prevedeva. Il che è vero, ma questa clausola, essendo prevista nel contratto nazionale di lavoro, secondo tutte le organizzazioni sindacali, invece, la prevede. Anche se indirettamente. Consapevoli di ciò ne abbiamo chiesto conferma all’ispettorato generale del lavoro. L’abbiamo ottenuta, ma poiché come detto prima il bando di gara effettivamente non aveva previsto un’eventualità del genere, sindacati da una parte, la società dall’altra, dicono entrambi una mezza verità che – anche sommandosi insieme – non fanno una verità intera.

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Ci vorrebbe, quindi, qualcuno che si assumesse l’onere di sciogliere l’arcano

«Già, ma dovrebbe essere o un giudice o la Regione Campania per imporre a questi signori la soluzione del problema che è quella del passaggio di cantiere che è normale. Del resto, i dipendenti in tutto questo non hanno nessuna colpa. «ma la questione di fondo è che la vecchia società ha avuto un’interdittiva antimafia. Il problema, però, non è neanche questo, poiché l’interdittiva antimafia ti permette di lavorare perché sei commissariato, ma Il Consiglio di Stato ha detto no perché in precedenza effettivamente c’è stato un problema di natura previdenziale, nascosto al momento della presentazione della richiesta di prosecuzione»

Quanti sono i dipendenti dell’American Laundry?

«l’American Laundry con sede a Melito, aveva 300 dipendenti nella propria lavanderia industriale e poi un magazzino interno, per ogni ospedale. Parliamo di 60 dipendenti divisi 10 al Cardarelli, 10 al Monaldi, 10 alla Federico II, al San Giovanni Bosco e così via a seconda della commessa. Sono i ragazzi che la mattina prendono le lenzuola pulite vanno nei reparti, le consegnano agli addetti e portano via quelle sporche. Vanno a prendere i kit nelle sale operatorie e fanno tutta l’operazione di immagazzinaggio e di facchinaggio».

Perché tutto questo?

Il 2018 questa azienda viene colpita da interdittiva antimafia. Viene presentato l’esposto dall’antimafia e con l’intento di fermare l’azienda che, in realtà, avrebbe potuto continuare a lavorare perché a breve sarebbe stata commissariata. Tant’è che, infatti, la prefettura mandò proprio un documento invitando gli ospedali a non revocare nulla perché se ne sarebbero occupati i suoi uffici. Nel frattempo, però, l’azienda già era stata colpita da una sentenza del Tar perché al momento della gara la seconda aggiudicataria aveva fatto ricorso e vinto al Tar. A sua volta l’American Laundry aveva presentato il controricorso e si era in attesa della sentenza del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato ad aprile 2019 – dopo che l’azienda era stata colpita da interdittiva antimafia – l’American perde la causa al consiglio di Stato e immediatamente Soresa determinando – poiché il Consiglio di Stato aveva ufficializzato che l’aggiudicataria era la Hospital Service – che dall’indomani questa subentrasse alla vecchia ditta. L’aggiudicataria viene a Napoli e ci (alle organizzazione sindacali) dice, contrariamente a quanto noi ritenevamo che i 60 dipendenti negli ospedali avrebbero dovuto obbligatoriamente essere assunti, perché il contratto collettivo di categoria prevede che, anche per i contratti pubblici, il passaggio di cantiere. Ma l’azienda viene in prefettura e dice io non me li prendo. Prometto che li assumerò per solidarietà ma non sono costretto a farlo».

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Nasce da qui, quindi, la querelle?

«Si, da questo diniego, scaturisce una trattativa sindacale anche con l’ispettorato del lavoro che ribadisce come questa sia una fattispecie dove la clausola sociale è certa perché indicata nel contratto collettivo. Come si vede, Soresa dice che c’è, l’ispettorato del lavoro anche. Tutti, insomma, ci danna ragione. Tranne l’azienda che, nel frattempo, continua a fare quello che deve fare, va dai lavoratori e dice: «se vuoi lavorare con me ti licenzi dall’American Laundry e io poi ti assumo con un contratto di apprendistato professionalizzato (per risparmiare i contributi). Oggi hai 40 ore? Io posso dartene 25. Sei quinto livello? Ti posso dare il primo perché devo rientrare nei costi. Questa è la mia offerta di lavoro. Hanno vinto una gara al ribasso al 40% e ora stanno cercando di recuperare ai danni dei lavoratori»

Hanno rifiutato tutti?

«No, una parte di lavoratori, 23 per l’esattezza, hanno detto ‘sì’ anche in tali condizioni oscene. Ne rimangono, però, ancora, 37 ai quali l’azienda continua a proporre questa offerta di lavoro che è contro tutte le norme. Quando una società subentra ad un’altra non è automatico che debba assumerne anche i debiti. E questi ragazzi vantano, tutti insieme, circa un milione di euro di liquidazione (tfr). La società non intende assumersene l’onere. E giustamente secondo – a mio parere – perché non è detto che il subentrante debba pagare il tfr che la vecchia società non vuole pagare. Sicchè, se la vecchia società non pagherà il tfr, i ragazzi dovranno far causa per la liquidazione, chiedendola all’inps, che potrebbe dire fatevela dare dalla nuova società. E’ giusto, quindi, non avere un passaggio diretto e immediato.   E, noi siamo pure favorevoli a questa soluzione, nell’incontro con loro del 12 maggio, dalle 15 fino alle 22, gli abbiamo fatto presente che saremmo anche disponibili ad accettare il licenziamento di questi lavoratori, ma contestualmente alla loro riassunzione diretta, senza condizioni e senza il periodo di prova, perché questo potrebbe rappresentare un rischio. Fra sei mesi l’azienda, potrebbe licenziarli asserendo un mancato superamento della prova stessa. E non sarebbe giusto. Mentre lo sarebbe dargli la sicurezza, assumendoli a tempo indeterminato. Questi ragazzi stanno perdendo il tfr, gli scatti d’anzianità, perderanno l’inquadramento e la sicurezza. Di contro, con questa proposta questi ragazzi perderanno mediamente solo 400 euro al mese, mentre ne perderebbero 1000 al mese.

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