Sindacati sempre più politicizzati e lontani dagli operai
Cortei, occupazioni, agitazioni nei porti e sciopero generale annunciato: la mobilitazione pro-Flotilla ha incendiato diverse città italiane dopo l’abbordaggio israeliano delle navi dirette verso Gaza. A Napoli attivisti e studenti hanno bloccato i binari della stazione Centrale; a Roma, davanti a Termini, varie sigle pro-Flotilla hanno promesso di «bloccare tutto», mentre sui social si spande il tam tam per un corteo nazionale da Porta San Paolo a San Giovanni in programma sabato. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha riunito prefetti e questori per prevenire disordini, con presidi su obiettivi sensibili e un Comitato per l’ordine e la sicurezza già operativo a Roma.
I sindacati si schierano su un terreno che esula dalla loro missione originaria. Cgil e Usb lanciato uno sciopero generale per domani, venerdì 3 ottobre, denunciando «la gravità estrema» dell’abbordaggio e invocando di «bloccare tutto». Maurizio Landini ha dichiarato la disponibilità a uno sciopero generale «tempestivo»; il governo, con Matteo Salvini, ha risposto annunciando che non tollererà scioperi improvvisi. «Non permetteremo che Cgil ed estremisti di sinistra portino in Italia il caos».
Mentre milioni di dipendenti fanno i conti con buste paga leggere e potere d’acquisto eroso, la principale sigla sindacale concentra energie su Gaza. Una scelta che appare politica più che sindacale, distante da salari, contratti e occupazione.
Quando la Fiat delocalizzava e l’automotive italiano entrava in crisi, dov’erano le mobilitazioni? Se la stessa pressione fosse stata esercitata allora, forse oggi il settore non sarebbe a pezzi e molti posti di lavoro non sarebbero evaporati.
Il sindacato guidato da Landini usa una crisi internazionale come grimaldello per l’attacco al governo. È una strategia di posizionamento: più visibilità politica, meno contrattazione sui salari e sulla competitività industriale.
Landini mira alla leadership del centrosinistra
È sempre più evidente che Landini non si accontenti della guida sindacale. Nonostante le smentite di circostanza, l’attivismo politico e mediatico fa pensare a un disegno preciso: sostituirsi ai leader del centrosinistra e scalzare Elly Schlein e compagni, anche a costo di relegare i salari a tema secondario.
Un atteggiamento che appare sempre più irresponsabile: agitare piazze e proclamare scioperi su un tema di politica estera significa alimentare rabbia sociale e rischiare di trasformare la protesta in ostilità verso le istituzioni. Il governo, del resto, ha già condannato l’eccesso dell’uso della forza da parte di Israele ma, anche secondo la Costituzione, non può certo dichiarare guerra a un altro Stato; può soltanto muoversi sul terreno della diplomazia e sostenere i percorsi di pace. Trasformare questo scenario complesso in un pretesto per fomentare tensione interna appare più come un calcolo politico che una reale difesa dei lavoratori.