La sinistra “progressista” che costruisce muri e dice «no» al Ponte sullo Stretto di Messina

La prima idea nel 251 a.C., si deve al console Cecilio Metello

Martedì scorso, il governo Meloni ha ufficialmente virato la boa dei 1025 giorni (2 anni e 10 mesi), sorpassando Renzi, diventando il quarto governo più longevo della storia repubblicana e mettendo sotto tiro quello di Craxi, ormai ad appena 68 giorni di distanza. Si è trattato indubbiamente di un brutto colpo per i signori del campo(santo) che, dopo il giuramento del 22 ottobre 2022, avevano già emesso la propria sentenza: non durerà più di due mesi.

Per «festeggiare» degnamente l’evento in arrivo, sei giorni prima, nella seduta del 6 agosto, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) ha approvato il progetto definitivo del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria (Ponte sullo Stretto di Messina). Una doppietta decisamente pesante per l’opposizione, che naturalmente ha finto di non essersene neanche accorta, almeno per quanto riguarda il compleanno del governo, cercando poi di delegittimare l’ok al ponte.

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Il sogno del Ponte sullo Stretto

Un sogno straordinario (la cui prima idea risale al 251 a.C., al console Cecilio Metello, per trasportare gli elefanti con barche e botti di legno) per unire davvero l’Italia dalle Alpi a Capo Passero, aprendo così il vecchio corridoio scandinavo-mediterraneo e congiungendo in un unico abbraccio anche il Nord e il Sud del vecchio Continente. Un’infrastruttura, insomma, di grande prospettiva per lo sviluppo economico dell’Italia ma anche dell’Europa e, tra l’altro, già prevista all’interno del trattato di Maastricht del 1992 e dotata di un progetto esecutivo risalente al 2003, bloccato dall’allora premier Monti, «beneficiato» del premierato da Napolitano.

Un sogno nato oltre cinquant’anni fa, che soltanto adesso – anche grazie al Piano Mattei della Meloni per lo sviluppo dell’Africa – sembra poter arrivare a realizzazione e dare un senso all’enorme contenzioso che l’Italia fu costretta a pagare a Eurolink, che aveva realizzato il progetto fermato da Monti. Il «sembra» dubitativo, sia chiaro, non è legato ai fondi per realizzarlo, dal momento che i 13,532 miliardi di spesa sono già disponibili in quanto interamente coperti da fondi pubblici con le leggi di bilancio 2024 e 2025, bensì perché immediatamente dopo l’ok del Cipess si è messa in moto la banda del «no al ponte».

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Ovvero i cosiddetti progressisti, ideologicamente vestiti da regressisti, che predicano il futuro ma marciano con ostinata determinazione verso il passato e non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare rotta.

L’opposizione al progetto

E per rendersi conto che si tratta solo di una questione ideologica – e lo sarà da oggi fino a quando la struttura sarà, a dispetto e nonostante la presenza di questi signori, portata a totale compimento – basta leggere i nomi di associazioni e gruppi che hanno deciso di iscriversi al Gp «no Ponte». Una sorta di fritto misto di protagonisti: Pd, 5S, comunisti, pro-pal, anti-Israele, centri sociali, no Tav, partigiani (per carità, quelli veri che combatterono per la libertà nostra e del Paese, molti dei quali persero la vita meritano il massimo rispetto, ma se fossero in vita oggi non credo scenderebbero in strada per dire «no al Ponte», al contrario dei loro eredi odierni, decisamente meno).

A differenza degli avi, non fanno che rinfocolare gli odi, rendendo sempre più quella del 25 aprile, che dovrebbe essere una festa unitaria, una manifestazione di parte, di stampo leninista. E una volta tanto che nella vita vera (quella che non corre quotidianamente dietro un nemico che non c’è: il fascismo) potrebbero dare una mano a costruire un ponte – nella fattispecie, il più lungo del mondo (3,3 km a campata unica) – decidono di erigere un «muro». (Dal «muro di Berlino» al «muro sullo Stretto», insomma).

Un fronte variegato contro il governo

Poi, per non farsi mancare il di più, hanno messo insieme una novantina di sigle di partiti e movimenti vari, centri sociali «no Tav», i «black bloc» e i «no a tutto sempre e comunque», purché contro il governo, facciano caciara e lancino strali contro l’esecutivo e l’infrastruttura da realizzare.

E se è vero – stando ai resoconti che ne hanno fatto gli italici organi d’informazione – grafiche, slogan, fotomontaggi, invettive, «vaffa» a raffica e minacce rivolte all’esecutivo, alla Meloni, al ministro Salvini e alle forze di polizia, ovviamente, non sono mancate. Anzi!

Sicché, i centri sociali – facendo il verso alla «rivolta sociale» di Landini – non hanno perso tempo a dichiarare «guerra ai cantieri». Non sono mancati gli avvisi inquietanti rivolti al ministro: «Salvini, ti pentirai amaramente di aver portato avanti questo progetto» o «Salvini, attento: nello Stretto fischia il vento», mentre «la Repubblica» fa sapere che solo «un italiano (e meno male che qualcuno che lo vuole c’è. Temevo peggio!) su tre è favorevole» e se lo dice lei non c’è neanche bisogno di sottolineare che è la solita fake news.

Come solo di speculazione e ipocrisia si tratta l’accusa dell’opposizione al governo per l’ennesima tragedia del mare che ha fatto altre 27 vittime al largo di Lampedusa. Siamo seri: se questo è il modello di lotta che intendono portare avanti fino al termine della legislatura, forse è meglio che si diano all’ippica. Gli italiani gliene saranno grati. E magari li ringrazieranno pure, negando loro qualche voto in meno.

Setaro

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