Zingaretti attacca su Instagram, ma la sicurezza non è un privilegio
Che il grillismo abbia lasciato dietro di sé una lunga scia di qualunquismo e livellamento verso il basso, lo sapevamo. Ma che si arrivasse a trasformare una normale procedura di sicurezza istituzionale in una telenovela da rotocalco estivo, sinceramente, ci pare troppo. Eppure eccoci qui: a dover spiegare che no, non è uno scandalo se la moglie di un ministro della Repubblica, oggetto di minacce documentate e sotto tutela della scorta, non si mette a fare la fila come se fosse una turista qualsiasi in partenza per Formentera. Soprattutto se la «fila» è presidiata da un’auto blu, un caposcorta o un agente con un auricolare nell’orecchio.
Zingaretti e la polemica social sulla sicurezza
Sembra surreale, ma è tutto vero: l’attore Luca Zingaretti — fratello del più noto Nicola, già presidente della Regione Lazio ed europarlamentare PD — si indigna su Instagram perché una signora (che poi si scoprirà essere la moglie di Adolfo Urso) viene fatta passare avanti dalla scorta all’aeroporto di Fiumicino. L’attore si gira, registra un video e sbotta: «Ma non vi vergognate?». Così, di slancio. Come se fossimo tutti cittadini qualunque. Come se quella donna non fosse stata realmente minacciata di morte da ignoti con tanto di proiettili recapitati via posta al ministero. Come se la sicurezza non fosse una cosa seria. Come se bastasse un cellulare e un po’ di indignazione per costruire uno scandalo.
La sicurezza non si gestisce su Instagram
Ora, fermiamoci un attimo. Perché questa non è solo una polemica vacanziera, è il sintomo di un’involuzione del dibattito pubblico. La scorta – per chi se lo fosse dimenticato – non è un optional, non è una cortesia, non è un privilegio. È un presidio di sicurezza dello Stato. La moglie di Urso non è un «qualcuno» qualunque: è la moglie di un ministro esposto, che si è visto recapitare una lettera minatoria con due proiettili e un messaggio preciso: «colpiremo tua moglie se non cambi linea sul golden power».
Serve ricordarlo? Serve davvero ribadire, come ha dovuto fare il ministro, che la circolare n.601/I/B18-11/9195/OES/2013/R del 16 ottobre 2013 prevede che sia la scorta, in totale autonomia, a valutare modalità e condizioni di spostamento della persona protetta o dei suoi familiari? Serve sottolineare che la sicurezza non si decide a colpi di stories su Instagram, ma con l’intelligence, le relazioni riservate e l’analisi delle minacce?
Sì, purtroppo serve. Perché questa polemica di mezza estate non è figlia del buon giornalismo, ma di un moralismo sgangherato, che confonde la democrazia con l’appiattimento. Dove uno vale uno, ma anche l’imbecillità vale quanto il buon senso. Dove basta indignarsi per far notizia, anche senza capire di cosa si parla.
Serietà contro farsa: l’Italia deve scegliere
E allora diciamolo chiaramente: uno non vale uno. Non lo vale nella vita reale, non lo vale nella politica e soprattutto non lo vale quando si parla di sicurezza. I ministri rappresentano le istituzioni, e le istituzioni vanno protette, anche nella quotidianità. Questo non è snobismo, è senso dello Stato e, soprattutto, della realtà.
Chi fa finta di non capirlo, chi trasforma una misura precauzionale in uno «scandalo da gate», chi si interroga sul fatto che la moglie di Urso abbia o meno il priority boarding, dimostra solo una cosa: che il grillismo, pur ridimensionato elettoralmente, ha ancora avvelenato l’acqua del dibattito, quindi della comunicazione e quindi del giornalismo. E che l’Italia, per ricostruirsi davvero, ha bisogno di tornare a distinguere tra serietà e farsa.
Il tentativo delle opposizioni e dei loro portavoce artistici di imbastire una polemichetta da ombrellone è miseramente fallito. Perché i cittadini, quelli veri, non si aspettano che un ministro porti la moglie e il figlio in fila con lo zaino in spalla e il trolley a traino. Non gli interessa nemmeno. Si aspettano invece che i rappresentanti dello Stato possano svolgere il loro compito con dignità, sicurezza e rispetto.