Il mito della tarantella: danza, medicina e superstizione

La tarantella, dal morso della tarantola al ballo

La tarantella, spesso associata all’immagine folklorica dell’Italia meridionale fatta di tamburelli, gonne ampie e ritmi incalzanti, è molto più di una semplice danza popolare. Quello che non si sa è che la sua origine si intreccia con elementi dal carattere magico e terapeutico, con forti credenze arcaiche e una visione del mondo basata su rituali.

Questa danza, insieme alla sua variante salentina chiamata pizzica, fu per secoli parte integrante di un complesso fenomeno noto come tarantismo: una forma di «musicoterapia» tradizionale usata per curare persone, spesso donne, che si credeva fossero state morse da un ragno velenoso, la «taranta». Qui si spingeva il corpo a danza fino allo sfinimento. L’obiettivo? Liberare la persona dal male interiore, come una sorta di esorcismo.

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Origini antiche della tarantella: tra ragno e trance

La popolare danza tarantella è legata nel profondo dal morso della tarantola. Questa narrazione ha radici nel Basso Medioevo, sedimentandosi nel Sud Italia, principalmente in Puglia, Basilicata e Calabria.

Come accennato già nell’introduzione, secondo la tradizione, il morso dell’aracnide provocava uno stato di malessere fisico e psichico noto come tarantismo. Chiunque subiva ciò, avvertiva sintomi come apatia, spasmi, depressione, e in alcuni casi stati di trance o crisi isteriche. All’epoca la medicina non poteva fare molto, per questo motivo si iniziarono a formare cure alternative che aiutassero la persona bisognose.

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Una di queste? La pizzica, un’esibizione musicale ripetitiva e martellante, attraverso una danza sfrenata e ritmata, portava il malato a una catarsi fisica ed emotiva. Il corpo, inondato di adrenalina e sudore, avrebbe espulso il veleno reale o simbolico, liberando la persona dalla sofferenza.

Molti studiosi, tra cui Ernesto De Martino nel suo celebre La terra del rimorso (1959), hanno interpretato il tarantismo come una risposta culturale a traumi individuali e collettivi: povertà, repressione sessuale, isolamento sociale. La «taranta» era dunque un simbolo, una metafora del disagio umano in una società che non offriva strumenti psicologici o sociali per elaborare il dolore.

A livello rituale, il fenomeno era fortemente coreografato: il danzatore (la «tarantata») era spesso circondato da musicisti, parenti e curiosi. I suonatori osservavano attentamente le reazioni del corpo e modulavano la musica in base ai movimenti, in una sorta di dialogo tra ritmo e sintomo. Il rito poteva durare ore o giorni, e talvolta culminava con un pellegrinaggio a luoghi sacri come la cappella di San Paolo a Galatina, considerato protettore e guaritore dei tarantati.

Il rito del tarantismo

Il tarantismo non era solo una credenza, ma un vero e proprio rituale codificato, praticato soprattutto tra il XVII e il XIX secolo nelle aree rurali del Sud Italia, con particolare intensità nel Salento. Si trattava di un fenomeno collettivo e comunitario che combinava musica, danza, fede e medicina popolare per affrontare forme di sofferenza fisica e psicologica che la medicina ufficiale non sapeva spiegare o trattare.

I soggetti colpiti venivano ritenuti pizzicati da una taranta. Il ragno, però, era in realtà un simbolo che rappresentava tensioni interiori, frustrazioni represse o traumi non elaborati. Il rito di guarigione aveva una struttura precisa:

  • Si cominciava con il riconoscimento dei sintomi, che includevano tristezza, stanchezza cronica, pianto incontrollato, spasmi e una strana sensibilità alla musica e ai colori.
  • I familiari chiamavano i musicisti popolari, che arrivavano con strumenti tradizionali come tamburelli, violini, organetti, mandolini e fisarmoniche.
  • La tarantata veniva distesa a terra o lasciata muoversi liberamente nello spazio domestico. La musica iniziava con un ritmo lento che gradualmente diventava incalzante.
  • Attraverso la danza frenetica, una vera e propria trance estenuante, la persona iniziava a reagire, scuotersi, gridare, sudare, fino a una liberazione fisica ed emotiva.

Un aspetto affascinante era l’uso simbolico dei colori: si diceva che ogni taranta rispondesse a una particolare combinazione cromatica. I musicisti, quindi, disponevano nastri, stoffe, fazzoletti e oggetti di colore diverso per capire quale stimolasse la reazione della persona colpita. Questo dettaglio mostra quanto il tarantismo fosse, in realtà, una forma primitiva ma strutturata di terapia psicosomatica.

La pizzica salentina: da medicina a identità culturale

Col passare del tempo, il tarantismo cominciò a perdere la sua funzione terapeutica e rituale, anche a causa dell’avanzare della medicina moderna e della progressiva scomparsa delle credenze magico-religiose. Tuttavia, ciò che non si perse fu la musica: quella pizzica salentina che per secoli aveva accompagnato il dolore, la crisi e la guarigione, divenne ora espressione della vita comunitaria e della festa.

La pizzica è una forma specifica di tarantella, caratterizzata da un ritmo incalzante e ipnotico, basato su una scansione binaria molto marcata. È suonata tipicamente con:

  • Tamburello a cornice (lo strumento principale),
  • Violino o organetto,
  • Chitarra battente, mandolino o fisarmonica.

Nel suo passaggio da rito a danza popolare, la pizzica ha assunto nuovi significati:

  • Nelle feste di paese e nei matrimoni, veniva danzata in coppia (spesso uomo-donna, ma anche donna-donna) come forma di corteggiamento o di dialogo affettivo e simbolico.
  • Nacque la pizzica a scherma, una variante coreografica maschile in cui i ballerini mimano un duello, usando gesti rapidi e precisi con mani e braccia, come in una lotta rituale.
  • Il fazzoletto rosso è diventato simbolo della danza: offerto da uno dei danzatori all’altro come invito, rappresenta un gioco di ruoli che rievoca gli antichi significati seduttivi e liberatori del ballo.

Oggi la pizzica non è più un fenomeno marginale o arcaico: è diventata un vero simbolo della cultura salentina e meridionale in generale. Grazie a gruppi musicali, ricerche antropologiche e al successo del festival La Notte della Taranta, la pizzica è oggi conosciuta e ballata anche fuori dall’Italia, reinterpretata in chiave moderna senza perdere il legame con le sue radici.

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