Ma davvero l’Ue fa gli interessi degli Stati del vecchio Continente?

Dopo il flop referendario, il governo vola e la sinistra affonda

Era la fine del 20° secolo e alle porte già bussava il 21°, che portava con sé la – così tanto sognata, promossa, garantita, annunciata e benedetta dalle alte sfere della politica continentale – Unione Europea. Che – a sentire i padri fondatori – sarebbe stata l’Europa dei Popoli e delle Patrie. Moneta unica, identico sistema fiscale.

Costituzione contenente diritti e doveri di tutti i cittadini e degli Stati, esercito unico e difesa comune. Forte di tutto ciò, con l’euro avrebbe conquistato la leadership monetaria internazionale e ci avrebbe fatti tutti più ricchi. L’unità avrebbe rappresentato la nostra forza e fatto crescere la nostra economia, procurando sviluppo e occupazione. Di più, ci avevano fatto credere che non ci sarebbero state nuove guerre, ma pace e sicurezza.

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Un quarto di secolo dopo: che fine ha fatto quel sogno?

Ebbene, a 25 anni dalla nascita, possiamo dire che le cose siano andate davvero così? Tutt’altro! E per rendersene conto, basta guardarsi intorno e si avrà chiaro che, più che quella dei Popoli e delle Patrie, è l’Europa dei mercati e della finanza disegnata da De Gasperi, Schuman e Adenauer, i cui rispettivi eredi si sono soltanto limitati ad attualizzarne e amplificarne al massimo la caratterizzazione economica e a restringerne al minimo indispensabile quella socio-umanitaria.

Un Trattato, non una Costituzione

E questo grazie al fatto che l’unico documento costitutivo, firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, è il «Trattato di Maastricht». Una sorta di costituzione alternativa, basata però soltanto su questioni di tipo economico-finanziario. Ed è proprio l’assenza di una Costituzione effettiva, conseguente al “no” (stante il potere di veto vigente nell’Unione Europea, per cui basta il rifiuto di un singolo Stato per impedire l’adozione di una norma) alla sua approvazione da parte di Francia, Paesi Bassi e Inghilterra (che poi nel 2020 ha addirittura abbandonato l’Ue), che anche la realizzazione di quel progetto d’integrazione che, di tanto in tanto, ritorna, non riesce a vedere la luce.

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L’illusione dell’unità monetaria

Insomma – come i tanti, cosiddetti euroscettici, avevano previsto alla fine del secolo scorso – gli accordi sottoscritti nella cittadina olandese ci hanno «trascinati» in un’Europa monetaria che ha finito per condizionare quella politica a tutto vantaggio dei sistemi finanziari. Continuando, però, ad andare ognuno per la propria strada e per proprio conto.

Dalla moneta unica ai disastri green

Bisogna riconoscere, però, che è stata bravissima a farsi sfruttare dai signori dell’ecoideologia green e di quella verde, raccontandoci che – dopo che per 20 secoli ci era stato detto il contrario – anche gli alberi inquinano ed emettono troppa CO₂ e quindi vanno abbattuti. Per cui, per liberarsi di tali problemi, ha pensato bene di distruggere centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore automotive e in quelli legati alla siderurgia, all’acciaio, all’agricoltura, all’agroalimentare, alla pesca e alle industrie collegate. Facendo esplodere i costi delle bollette energetiche e l’inflazione.

Le promesse tradite: più povertà e guerre

A conti fatti, insomma, gli unici risultati realmente centrati sono tutti in antitesi con le promesse iniziali: anziché arricchirci ci ha fatti più poveri; invece di far crescere i posti di lavoro, ha fatto aumentare la disoccupazione. E neanche le guerre è riuscita a evitarci.

L’Ucraina, Gaza e l’irrilevanza dell’Ue

Anzi, dall’aggressione russa all’Ucraina l’acre odore della polvere da sparo ci arriva da tutte le parti. Una puzza diventata addirittura acerrima in conseguenza della vasta offensiva lanciata il 7 ottobre 2023 contro Israele da Hamas, Jihad Islamico Palestinese (JIP) e altri gruppi armati palestinesi.

Un’offensiva senza precedenti nella storia del conflitto israelo-palestinese che ha innescato immediatamente una pesante e legittima risposta militare di Israele. Che, se è vero – com’è vero – che un accenno di tregua, seppure per il momento ancora decisamente flebile, è arrivato appena qualche giorno addietro, grazie all’intervento di Trump e Putin, passando sopra la testa dell’Ue, è la conferma che anche su questo fronte il Vecchio Continente ha dimostrato di avere molti limiti, nessun peso e alcun ruolo.

Una coalizione che vacilla tra veti e interessi nazionali

E, intanto, i socialisti europei – contro la decisione di ritirare la direttiva sui Green Claims – minacciano di lasciare la maggioranza. E questo non certo per il diritto di veto, di cui qualcuno vorrebbe l’abrogazione, ma che resta l’unica arma di difesa per i Paesi cosiddetti sovranisti, non allineati ai giganti dai piedi d’argilla: Francia e Germania. Bensì perché ancora oggi ognuno dei 27 Stati membri continua a preoccuparsi dei propri interessi e a prevaricare quelli degli altri e dei loro cittadini.

L’illusione di un nuovo corso

Certo, il risultato del vertice NATO di portare le spese militari entro il 2035 al 5% del PIL lascerebbe pensare che qualcosa stia per cambiare, visto che fra i 32 Paesi NATO ci sono tutti i 27 d’Europa. Già, ma la Spagna si è già defilata, impegnandosi solo per il 2,1%. E, dopo il PSE, anche la Schlein minaccia di non votare più la von der Leyen. Nel frattempo, però, anche Macron ha chiesto il rinvio del Green Deal. Quindi… E, a proposito, ci si può non chiedere quanti degli attuali leader Ue saranno ancora sulla tolda di comando nel 2035 per mantener fede all’impegno?

Il cortocircuito dell’opposizione

Ma intanto, dopo la solenne batosta sui quesiti referendari sul Jobs Act e l’immigrazione, la sinistra unita (si fa per dire) – da Schlein a Conte, da Bonelli a Fratoianni, da Calenda a Renzi e +Europa – presenzia solennemente al Gay Pride, partecipando alla sfilata per le strade di Budapest, e la signora Nazarena avverte tutti che «l’amore non si vieta». Orbán lascia fare e loro, delusi di non poter gridare al martirio, se ne tornano a casa con le pive nel sacco.

La crescita del centrodestra e la débâcle della sinistra

Senza dire che, mentre loro continuano a lanciare spot propagandistici tutti finalizzati però a delegittimare la maggioranza di governo, questa continua a crescere fino al 46,5%, e FdI (28,2%), FI (8,4%) e Lega (8,8%) non sono da meno. E la Meloni scala il 45% di gradimento personale; decisamente inverso il discorso relativo all’opposizione, con il PD che scende al 21,4%, i grillini al 13,3%. Parola – meglio, numeri – dell’Ipsos di Pagnoncelli, che certamente non può essere accusato di filodestrismo, per il Corriere della Sera.

Setaro

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