Contro i detrattori: è frutto di sudore, non di fortuna
Il Napoli ha vinto il quarto scudetto della sua storia, anche se con «qualche sofferenza di troppo», perché ha meritato di vincere e non perché – come qualcuno continua a dire – «è stata l’Inter a perderlo». Basta riflettere sul fatto che ha guidato la classifica per ben 22 domeniche contro le 9 dei nerazzurri e, con appena 25 reti subite, è stata la compagine meno perforata non solo d’Italia, ma addirittura d’Europa.
Forse è il caso che lorsignori antinapoletani se ne rendano conto una volta per tutte: se il campionato di quest’anno è stato tanto entusiasmante ed emozionante, non è perché l’Inter – nonostante i tanti pezzi da novanta che la squadra milanese allineava in rosa – abbia perso qualche occasione, bensì perché diverse volte il Napoli si è espresso al di sotto delle proprie potenzialità, mettendo in vetrina una scarsa aggressività, e in altre ha reso molto meno di quanto avrebbe potuto, considerato il valore effettivo della rosa.
A mio parere, ciò è dipeso anche dalle scelte non sempre azzeccate di Conte sugli uomini da mandare in campo. Certo, sulla qualità delle prestazioni hanno influito anche la perdita di Kvaratskhelia, gli infortuni ripetuti di giocatori come Buongiorno, Lobotka, Juan Jesus e Okafor.
Un successo nonostante tutto: infortuni, dubbi e critiche
Verissimo: a convincere i denigratori in servizio permanente effettivo di Napoli, del Napoli e dei napoletani ha contribuito anche il continuo e ripetitivo autobeatificarsi del tecnico per i risultati ottenuti, scaricando sugli altri le colpe per gli eventuali passi falsi. Conte, per evitare di assumersi responsabilità in caso di mancata conquista dello scudetto, ha ripetuto continuamente – una conferenza stampa sì, l’altra pure – che la squadra azzurra non era attrezzata per vincere lo scudetto e che era già un miracolo quanto fatto fino ad allora e i risultati che stava conseguendo.
Comunque, a mio parere, il risultato finale ha smentito il tecnico, ha riscattato i giocatori e ha rimesso le cose a posto. Al triplice fischio di La Penna, alla fine della partita col Cagliari, Napoli giustamente e felicemente è esplosa ed è scesa in piazza a festeggiare i propri beniamini, così come è avvenuto in tutta la provincia e nell’intera regione.
Basta con la scaramanzia: si può festeggiare. E noi brindiamo a Conte, ma soprattutto ai ragazzi, a cominciare da quelli più sacrificati dal tecnico: Raspadori e Simeone, costretti a lungo in panchina, ma che – soprattutto il primo, ma anche il secondo – quando sono stati mandati in campo, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e hanno offerto anche loro un contributo notevole al successo azzurro.