L’ANM fra i promotori del referendum contro il Jobs Act. Alla faccia della terzietà dei giudici

Senza Jobs act scompare reintegro di licenziati di partiti e sindacati

Un’opposizione compatta. Solo però nel tentativo disperato di delegittimare la destra. Per il resto ognuno va per i fatti propri. Viene, allora, da chiedersi se al Pd giova una leader, «calata da lontano» che prima ha conquistato la leadership con i voti dei non iscritti e poi si è iscritta. E che avendo indicato una strategia, ha deciso di seguirla fino in fondo aprendo il congresso regionale dem della Sicilia, oltre che ai defunti, agli eroi dei fumetti e delle favole, vedi Sandokan, Sbirulino, Ape Maia, il grande Puffo, Robin Hood e chi più ne ha più ne metta. Che non riesce ad esprimere una sola idea politico-programmatica che vada oltre l’antifascismo.

Schlein rincorre tutti: Conte, Landini e Fratoianni

Sicché, una volta insegue Conte e i 5Stelle sul salario minimo; un’altra, Landini sul Jobs act figlio del Pd a guida Renzi e che il suo – per reggere la coda alla Cgil – vorrebbe cancellare, con il referendum, e se occorre anche a Fratoianni in tema di patrimoniale. E non s’accorge che se il terzo è innocuo per la relativa scarsità dei seguaci; gli altri due, con «eserciti» ben più consistenti ed agguerriti, puntano a scalzarla.

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Dalla guida del centrosinistra l’ex «avvocato del popolo» Giuseppi che da premier elargì mancette per ben 194,6 miliardi di euro: 34,6 per il Rdc e 160 per il bonus edilizio (qui, però, il conto è ancora aperto); e dal Nazareno da Landini che tra l’altro, non disdegna la possibilità di impadronirsi dell’intero campo(santo) Pd-m5s-Avs.

Questi, però – se non fosse per il costo dei loro «giochetti» e le difficoltà cui costringono gli italiani – sono problemi loro. Provino, magari, se riescono, a risolverseli da soli, senza scaricarli sugli italiani, come pure ambirebbero, vorrebbero e cercano di fare. Già, come se fosse «facile farsi un buon caffé!»

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Anche perché, manca ormai meno di un mese all’appuntamento dell’8 e 9 giugno con i 5 quesiti referendari (4 sul lavoro e 1 sulla concessione della cittadinanza agli stranieri – dopo 5 anni, anziché 10 di permanenza in Italia), sui quali l’opposizione si dice ufficialmente compatta, ma più che sui quesiti, sull’ennesimo tentativo di delegittimare la maggioranza per l’invito rivolto agli elettori di disertare le urne.

L’indignazione a comando della sinistra

E se Fratoianni ha detto che «con il loro giochetto, Meloni e Tajani, sono irrispettosi della democrazia»; Conte, ha aggiunto: «vogliono aggravare le condizioni già malmesse della nostra democrazia»; per non essere da meno Magi di +Europa sostiene essere «vergognoso che il governo inviti gli italiani a non votare»; ed Elly avverte di essere «impegnata, assieme al Pd, a far crescere la partecipazione, perché il quorum sia raggiunto e il “sì” vinca», stessa rassicurazione di andare casa per casa per soffiare sul «quorum» fino a quando raggiungerà la potenza di fuoco di 25 milioni di italiani alle urne, è arrivata da Landini perché «che il partito della premier indichi di non andare a votare è cosa grave e pericolosa». Auguri e buona caccia.

E «l’invito all’astensione è il segnale di una profonda cultura antidemocratica», ha «sbrodolato» il dem, Scotto e Barbera (Rc) ha aggiunto: «la destra boicotta la democrazia». Insomma in questa vicenda, per l’ennesima volta è emersa in maniera evidentissima la caratteristica principale dell’opposizione demogrillinesca: mentire, sapendo di mentire.

Ipocrisie svelate: quando l’astensione era di sinistra

Per farlo, però, sono costretti a rinnegare quanto fatto da loro stessi in precedenti circostanze. Tant’è che in occasione della campagna per l’astensione al referendum promosso nel 2003 da Bertinotti per l’allargamento dell’art. 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti, un volantino con tanto di simbolo Pd dichiarava: «Astenersi è un diritto, parola dei Ds» e nel 2016 allorquando l’allora premier e segretario pd Renzi optò per l’astensione al referendum sulle trivelle l’allora Capo dello Stato Napolitano, dichiarò a Repubblica che «se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria».

Sicchè verrebbe da chiedere alla Schlein cosa sia cambiato da allora. In realtà, praticamente niente, tranne che adesso a proporre l’astensione è la destra, e i piddini – a differenza di quanto affermano – sono, come da rituale, frantumati. I «cuccioli» di Elly, insieme a 5S e Avs abbaieranno agli ordini di Landini; i riformisti (si fa per dire) dem, renziani e calendiani diranno «sì» solo al quesito sulla sicurezza nelle imprese e «no» agli altri 4. Ma per il campo(santo) va bene lo stesso, l’importante è che votino e facciano quorum.

Giustizia politicizzata: la Magistratura scende in campo

Ma il peggio è che questo appuntamento referendario, ha già fatto una vittima innocente: la terzietà dei giudici. Magistratura democratica, infatti, ha deciso di aderire al comitato promotore del referendum e, quindi, di «scendere» in politica. Potranno, ora, continuare a dirsi terzi?

E, forse non ci crederete ma, in caso di vittoria del «sì» all’abrogazione del Jobs Act, gli unici a trarne vantaggio saranno partiti e sindacati. Non dovranno più reintegrare i loro dipendenti eventualmente licenziati illegittimamente. Possibilità introdotta nel 2014 proprio con il Jobs act, per cui sarà cancellata dall’eventuale «sì» all’abrogazione. Spero non sia questa una delle ragioni per cui Cgil e campo(santo): Pdi, M5S e Avs sperano di riuscire a farlo abrogare. Avrebbero le mani ancora più libere nei licenziamenti.

Setaro

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