Grecia, bicentenario dell’Indipendenza dopo dracma e sirtaki

Ieri, 25 marzo, mentre la Grecia si apprestava a festeggiare il bi-centenario della dichiarazione di indipendenza, l’Unione Europea, poco opportunamente, sembra defilarsi prevedendo di partecipare alla celebrazione dell’importante anniversario «nei limiti della disponibilità dei suoi rappresentanti e nelle restrizioni legate agli spostamenti dovute alla pandemia».

Forse non riusciamo a capire o, meglio, non vogliamo capire: c’erano molte ragioni per essere ieri ad Atene al fianco del popolo greco.

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Prime fra tutte quelle di ordine storico e geopolitico che consiglierebbero piuttosto di rendere omaggio ad uno Stato membro dell’Unione proprio nel momento in cui denuncia forti tensioni con la Turchia nel mediterraneo orientale dove si sono scoperti importanti giacimenti di gas naturale. La presenza quindi delle più alte autorità europee servirebbe a calmare gli spiriti e oltretutto avrebbe dato oggi a questa ricorrenza nazionale un carattere particolarmente simbolico.

Queste tensioni imporrebbero all’Europa di mostrarsi effettivamente unita a fianco di uno Stato membro, oggi minacciato, come accadde e continua ad accadere per Cipro, un Paese di questa stessa Unione ancora occupato militarmente e diviso in due da truppe straniere, nonostante l’impegno, iscritto nei Trattati, per gli Stati membri di intervenire solidalmente laddove un Paese dovesse soffrire una guerra o subire un’occupazione militare.

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Tutto passa sotto silenzio e tutto diventa relativo, ma chiunque abbia una cultura classica non può non sentire gratitudine infinita per la cultura greca. Tutto quel che costituisce la base della civiltà umanista è nato in questo Paese: ragione, scienza, democrazia, valori che nel corso dei secoli sono divenuti motore stesso dell’intera umanità, patrimonio che Bisanzio ha trasmesso e poi difeso dalla minaccia ottomana.

Quando poi emerge che oggi i greci sono preda delle agenzie di rating europee, della Germania, dell’immigrazione senza controlli, dell’emigrazione dei suoi giovani, non resta che sperare, senza molto crederci, che un nuovo governo possa riuscire a salvare questo glorioso Paese.

La Grecia era entrata nell’euro grazie a studi compiacenti della Goldman/Sachs, del resto mai perseguita penalmente, ed è stata la prova dell’imbroglio di un’economia debole legata a una moneta forte. Si è vista imporre tre piani di risanamento contabile e finanziario sotto la doppia tutela di BCE e FMI attraverso il versamento di quasi 300 miliardi di euro scritturali, ben diversi dal contante. Il cinismo europeo ha deciso così di prestare monete alla Grecia, soldi che essa deve rimborsare indebitandosi sempre di più.

Il governo comunista allora al potere, al soldo della finanza mondiale ha aumentato le tasse, specialmente l’Iva portandola al 24%, ha ridotto le pensioni, privatizzato e venduto all’estero ciò che restava da vendere e soprattutto l’area del Pireo, uno dei più grandi porti del mediterraneo divenuto una testa di ponte delle esportazioni cinesi che si sono installati nel Paese, acquistando persino a prezzi raddoppiati appartamenti che hanno concesso ad oltre 30.000 connazionali,  modo di poter usufruire di una carta di residente che consente di circolare liberamente in Europa.

Fino all’ultimo la sinistra ha mentito pretendendo di aver risanato i conti dello Stato e invece il debito greco ha superato il 180% del PIL e 400.000 giovani hanno dovuto intrapapredere la via di una nuova diaspora. Oggi il 40% dei giovani greci è senza lavoro, un lavoratore su tre è occupato a tempo parziale per un salario ridicolo di 317 euro, inferiore ai 360 euro dell’indennità di disoccupazione. La povertà resta la più alta della zona euro con il 34,8% di greci esposti al rischio di indigenza totale e di esclusione sociale.

Il Paese della dracma e del sirtaki, della scuola di Atene, dei grandi filosofi e dei letterati più eruditi, faro di civiltà nei secoli, aggiunge purtroppo al suo fallimento economico, finanziario e sociale anche la minaccia di un isolamento che impedirebbe ai suoi cittadini di conservare anche la memoria e le tracce materiali del passato. Ma questo non è un problema solo greco: è la conseguenza di quel relativismo che accomuna tutta la civiltà europea e ci ricorda la verità della Storia che oggi ci incita più ad onorare la Grecia che a favorire l’attuale Turchia di Erdogan.

 

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